Cultura e Società Ecologia

Riparazioni: esiste la giustizia nelle relazioni internazionali?

Il British Museum è diventato un meme. Scorrendo il feed di qualsiasi social network anglofono risulta evidente come l’illustre istituzione culturale britannica sia percepita, soprattutto dalle generazioni più giovani, come un ricettacolo di refurtiva coloniale.

Questa percezione, a cui solo vent’anni fa sarebbe stato quasi blasfemo dare voce, affonda le radici nella crescente popolarità di concetti postcoloniali, in particolare di un dibattito che ha travalicato i confini dell’accademia e del diritto internazionale per entrare nella sfera pubblica in modo più o meno esplicito: quello sulle riparazioni coloniali.

Il postcolonialismo immagina un futuro migliore

Il postcolonialismo è uno dei cosiddetti approcci critici alle relazioni internazionali, i quali si distinguono principalmente per la loro vocazione trasformativa. Negli approcci tradizionali lo status quo delle relazioni internazionali è caratterizzato da una violenta anarchia in cui il rischio di conflitto è onnipresente e la giustizia non esiste. Mentre i sostenitori del realismo e quelli del liberalismo propongono strategie differenti per navigare questo stato hobbesiano di costante pericolo, essi concordano sull’impossibilità di qualsiasi cambiamento nelle sue premesse.

La peculiarità delle teorie critiche risiede invece nel mettere in discussione lo status quo, creare narrative differenti e, soprattutto, identificare un concetto di giustizia. Per questo, approcci critici come il postcolonialismo e il femminismo, pur occupandosi di temi ed eventi storici violenti e tragici, portano con sé un ottimismo di fondo che si basa proprio sulla visione morale che essi offrono. Se esiste l’ingiustizia, per quanto diffusa e radicata, allora esiste la giustizia.

Il postcolonialismo identifica l’ingiustizia di fondo nel sistema violento di sfruttamento imposto da popoli su altri popoli che fu il fenomeno storico del colonialismo moderno, partito dall’Europa a seguito della scoperta europea delle Americhe. L’elemento che contraddistingue il colonialismo europeo da fenomeni precedenti, come la colonizzazione della Magna Grecia o l’espansionismo militare dell’Antica Roma, è l’uso di diverse forme di suprematismo etnico e culturale per giustificare la violenza e lo sfruttamento.

Le riparazioni come giustizia postcoloniale

Dalla colonizzazione delle Americhe all’imperialismo europeo, passando per lo schiavismo e il commercio triangolare, la storia coloniale è costellata di orrori. Le riparazioni sono una proposta elaborata da pensatori e attivisti postcoloniali per fare i conti con un passato buio, che grava su molti Paesi ad oggi ricchi e potenti alimentando tensioni tra le loro popolazioni sempre più etnicamente composite. La giustizia riparativa postcoloniale può assumere diverse forme, ad esempio il versamento di somme di denaro ai Paesi danneggiati, o molto più raramente ai discendenti dei singoli individui, la restituzione di artefatti culturali, scuse formali o altre forme di indennizzo sul piano morale e materiale.

La consuetudine del diritto internazionale, ossia quelle leggi non scritte ma accettate come principi fondamentali, garantisce il diritto alla riparazione alle vittime di violazioni dei diritti umani, al di là del caso specifico del colonialismo. Uno dei casi più famosi furono le riparazioni tedesche allo Stato di Israele a seguito degli orrori dell’OIocausto. Tuttavia, è possibile una lettura postcoloniale dell’istituzione stessa dello Stato di Israele, avvenuta nel 1948 al termine del Mandato coloniale britannico della Palestina.

Alla luce del lungo conflitto scaturito da questi eventi e recentemente inaspritosi, è lecito chiedersi se proprio il sostrato coloniale dell’operazione non abbia determinato le conseguenze catastrofiche che conosciamo. Assegnare un territorio colonizzato ad un altro popolo, senza preoccuparsi di tutelarne gli abitanti, fu forse una scelta dettata dalla volontà di riparare un’ingiustizia gravissima, ma poco lungimirante e, soprattutto, a sua volta ingiusta nei confronti del popolo palestinese, che di fatto passò da un’occupazione ad un’altra.

Le riparazioni coloniali come soluzione ambientale

Un’analisi critica rivela le radici coloniali di alcune delle minacce esistenziali che l’umanità si trova oggi ad affrontare. Il caso più lampante è quello del deterioramento ambientale, storicamente causato dallo sfruttamento del territorio a scopi commerciali da parte dell’uomo. Gli studiosi postcoloniali hanno a lungo identificato il genocidio delle popolazioni indigene e l’appropriazione della terra da parte dei colonizzatori come la fine di un rapporto di reciprocità con l’ambiente che, a lungo andare, ha portato al depauperamento delle risorse naturali.

Questo è particolarmente evidente in luoghi postcoloniali come il Sud America o l’Africa, dove il continuo sfruttamento di ambienti cruciali per l’ecosistema terrestre, come le foreste pluviali o i grandi delta dei fiumi, ha portato alla catastrofe ambientale.

In questi luoghi, dove peraltro la presenza coloniale esiste ancora sotto forma di compagnie commerciali acquartierate nei Paesi del nord globale e governi compiacenti, la restituzione di parti consistenti del territorio ai popoli indigeni potrebbe apportare benefici più ampi. Le popolazioni indigene, emerge da diversi studi, sono le migliori custodi degli ecosistemi, proprio in virtù di un rapporto con la natura non estrattivo, ma proporzionale e reciproco.

Data la diversità storica dei diversi contesti postcoloniali, la questione delle riparazioni resta sfaccettata e complessa, nonché profondamente sgradita ai Paesi colonizzatori per il sacrificio monetario e l’ammissione di colpa che il processo richiede. Eppure, l’opinione pubblica sembra ora più che mai recettiva all’idea, e un crescente numero di istituzioni sta accettando di compiere i primi atti riparativi. Rimpatriare opere d’arte, ribattezzare luoghi precedentemente intitolati a individui direttamente coinvolti nel colonialismo, indagare la propria storia coloniale e, sì, perfino rimuovere monumenti, sono tutti timidi esempi di riparazioni.

Resta da vedere se questi atti relativamente a basso costo, in quanto essi restano prevalentemente confinati a istituzioni non statali e non contemplano il pagamento di indennizzi cospicui alle vittime individuali o ai loro discendenti, rappresentino davvero l’inizio di un cambiamento o piuttosto una foglia di fico che permetta agli Stati, i veri responsabili storici, di placare lo scrutinio critico e mantenere saldo uno status quo internazionale che resta violento ed estrattivo.

Francesca Di Fazio

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