Ecologia Economia e Politica

Lo sfruttamento delle foreste ci riguarda più di quanto crediamo

Il 2022 ha segnato un nuovo capitolo politico per il Brasile. Dopo quattro anni di un governo di estrema destra, è stato eletto per la terza volta Luiz Inácio Lula da Silva come Presidente del Paese. Lula, 76 anni, era il candidato del Partido dos Trabalhadores (PT), il “partito dei lavoratori”. Già Presidente del Brasile dal 2003 al 2011, si è presentato nuovamente per sfidare il presidente uscente Jair Messias Bolsonaro, leader del partito liberale Partido Liberal (PL), al termine del mandato.

La vittoria è arrivata grazie a una differenza minima di circa due milioni di voti: il Paese ne è uscito spaccato in due. In gioco ci sono delle questioni sociali e ambientali che non riguardano solo il Brasile e con questo risultato sono più delicate che mai. La foresta amazzonica, ad esempio, è una di queste, e la sua gestione influenza gli equilibri a livello globale.

Il famoso battito d’ali di una farfalla: un ecosistema globalmente impattante

L’estensione del bioma amazzonico ricopre 7.413.827 km2, pari a venti volte l’Italia. Si tratta di un’area geografica che comprende otto paesi dell’America del Sud: Brasile, Bolivia, Perù, Colombia, Ecuador, Venezuela, Guyana, Suriname e Guyana francese. Probabilmente a nessuno di noi capiterà nella propria vita di visitare l’Amazzonia. Eppure, nonostante sia così lontana, è un soggetto vitale anche per il nostro ecosistema, o meglio: per l’ecosistema globale.

La foresta amazzonica è un ambiente dove la vita è tangibile in tutti i suoi elementi. Secondo gli studi, in tutta l’Amazzonia sono presenti 390.000 milioni di alberi e il 10% della biodiversità del mondo. Grazie al suo ruolo fondamentale nei cicli globali e regionali del carbonio e dell’acqua, nel 2000 l’UNESCO ha dichiarato le aree di conservazione dell’Amazzonia patrimonio naturale dell’umanità. Proprio perché, come sottolinea anche il WWF, le persone di tutto il mondo dipendono da questo ecosistema non solo per il cibo, l’acqua, il legno e le medicine, ma anche per il suo contributo a stabilizzare il clima.

Secondo la giornalista scientifica Jennifer Leman, la foresta pluviale amazzonica svolge un ruolo importante nella regolazione dei cicli globali di produzione di ossigeno e carbonio. Il suo ecosistema, infatti, genera circa il 6% dell’ossigeno mondiale e da tempo si pensa che agisca come un serbatoio di carbonio assorbendo grandi quantità di anidride carbonica dall’atmosfera.

Il problema è che questo “serbatoio di carbonio” quando viene bruciato, o ridimensionato, rilascia enormi quantità di CO2. Sempre secondo la giornalista, di recente alcune ricerche hanno spiegato che queste foreste potrebbero effettivamente emettere più anidride carbonica di quanta ne assorbono. Quando il “polmone verde” è in pericolo, l’attenzione dei media si catalizza sul fenomeno. Gli incendi sono infatti una delle minacce più sentite e diffuse nel territorio amazzonico, e insieme alla deforestazione sono tra i maggiori pericoli per l’ambiente. 

Una salvaguardia necessaria a 360°

La foresta amazzonica per questi motivi appare e scompare ciclicamente dal dibattito pubblico internazionale, anche se il problema della deforestazione non è un discorso recente, anzi. Il fenomeno si è sviluppato a partire dagli anni Quaranta ed è cresciuto, intensificandosi negli anni Settanta. La causa principale di questa brutalità è costituita dall’allevamento intensivo, per cui vengono ricavati terreni nell’80% dei casi.

Altri interessi consistono nella creazione di strade o di campi che possano essere coltivati per piantagioni da esportazione, come la soia. Il problema è duplice: da un lato, la maggior parte delle azioni che deturpano questo ecosistema vengono perpetrate contro le regolamentazioni statali e internazionali; dall’altro, in certi casi la stessa legislazione statale ha avallato tali azioni. Questo approccio si basa su un modello che mette al centro la sostenibilità economica, non considerando però altre due facce della sostenibilità: quella economica e quella sociale.

L’Amazzonia non è solo un terreno naturalmente ricco. Il suo ambiente è da sempre stato casa per le popolazioni indigene presenti sul territorio. Di queste, si conserva poco, ma anche loro rappresentano dei piccoli ecosistemi che per sopravvivere hanno bisogno di essere tutelati e protetti. In Amazzonia vivono 35 milioni di persone, tra cui più di 2,6 milioni di indigeni. Solo in Colombia, ad esempio, ci sono 52 gruppi etnici appartenenti a 13 gruppi linguistici e parlano 10 lingue isolate. Un patrimonio immenso che rischia di scomparire. Si dice spesso che affinché la vita e la natura possano sottrarsi a ulteriori episodi di distruzione e depredazione, spetta a ogni singolo essere umano del pianeta prendere parte alla sua tutela.

L’azione governativa, però, deve fare la sua parte. Nel caso del Brasile c’è il rischio che le lobby agroalimentari e la criminalità organizzata continuino a ostacolare la tutela dell’Amazzonia. Durante gli otto anni di Governo Lula il livello di deforestazione è radicalmente diminuito. Nei quattro anni del Governo Bolsonaro invece la situazione si è aggravata tanto da meritare la denuncia di Amnesty International.

Questo, purtroppo, non è il solo problema dell’Amazzonia. Negli ultimi anni la moda sostenibile ha preso sempre più piede e sono molti i marchi che adottano le fibre vegetali come alternativa ecofriendly. In molti dei casi, però, si tratta di fibre che vengono ricavate da piantagioni intensive sviluppate in terreni disboscati. Ne parla Nicole Rycroft, fondatrice e direttrice esecutiva di Canopy, azienda che lavora con marchi di moda e commercio in tutto il mondo allo scopo di inventare soluzioni sostenibili per salvaguardare il valore delle foreste ad alto stock di carbonio e ad alta biodiversità.

La questione delle foreste è quindi globale, e non può essere lasciata da parte. La politica dovrà fare la sua parte, auspicabilmente nella direzione giusta. L’Amazzonia, le foreste in Indonesia e tutti gli altri siti di biodiversità vanno tutelati in nome di un equilibrio globale, di chi ci vive ora ma anche per le generazioni future.

Giulia Greppi

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