Cultura e Società Paesaggio

Il ruolo dello spazio pubblico nel processo di marginalizzazione delle sex worker

Il 2 giugno si è tenuto a Bologna l’incontro nazionale per i diritti delle sex worker: un appuntamento che non si svolgeva da quasi vent’anni. I temi sono stati la decriminalizzazione della prostituzione, lo stigma ad essa correlato e le prospettive per le nuove generazioni.

La discriminazione nei confronti delle sex worker le rende una delle categorie più spesso criminalizzate per la loro presenza nello spazio pubblico. Per cercare di arginare tale fenomeno, definito degradante (viene da chiedersi: “degradante, per chi? degradante, per cosa?”), le amministrazioni si impegnano nel trovare le giuste parole e modalità per escludere questa categoria di persone dai centri storici e dalle aree maggiormente frequentate da turisti.

Abbiamo parlato di come le politiche del decoro siano uno strumento che permette di marginalizzare alcune soggettività ben precise dallo spazio pubblico in occasione di Licheni – Piccolo Festival Diffuso della Sostenibilità con l’architetta urbanista Serena Olcuire. Assegnista di ricerca presso l’Università La Sapienza di Roma, Olcuire si occupa di studiare le geografie del sex work ed è autrice di Indecorose. Sex work e resistenza al governo dello spazio pubblico nella città di Roma (Ombre corte 2023) e co-autrice di Bruci la città. Generi, transfemminismi e spazio urbano (Edifir 2023).

Perché il sex work è una materia di studio in ambito urbanistico

In Italia, con l’abolizione delle case di tolleranza da parte della legge Merlin del 1958, il lavoro sessuale si svolge per lo più in strada. L’approccio urbanistico alla questione permette di studiare quali sono e come vengono attuate le politiche che si occupano del governo dello spazio pubblico, per gestire tale fenomeno.

Il codice penale non vieta la prostituzione, bensì stabilisce alcuni reati ad essa correlati come sfruttamento, agevolazione o adescamento. Tuttavia, il sex work, di per sé, non è un lavoro illegale. Questo rende necessario, qualora le amministrazioni non ritengano appropriato che nei propri comuni si svolga tale pratica, un impegno attivo e interpretativo nell’esercizio delle norme. Chi detiene il potere di gestione dello spazio urbano compie uno sforzo creativo nella traduzione della legislazione per trovare il modo di rendere possibile la rimozione dei corpi “indecorosi” dalle strade e piazze.

Lo strumento maggiormente utilizzato a questo scopo sono le politiche del decoro, che si prestano a grande libertà interpretativa. Quali sono i comportamenti che possono essere definiti come “indecorosi”? In effetti se si iniziano a valutare come elementi sottoponibili a giudizio il sorriso, l’occhiolino o l’abbigliamento, l’orizzonte che si delinea è piuttosto pericoloso.

La pervasività delle politiche del decoro determina la nostra idea di società

Un significato preciso e soddisfacente di decoro non esiste e forse questa è proprio la caratteristica che la rende così pervasiva. Tanto da rendere l’aggettivo decoroso adatto ad essere utilizzato tanto per i luoghi quanto per le persone e i loro atteggiamenti.

La giurista Tamara Pitch, nel suo libro Contro il decoro. L’uso politico della pubblica decenza afferma che la definizione di decoro non è univoca ma dipende dal soggetto per cui viene applicata. Infatti, la pericolosità di tale categoria è la sua non-oggettività.

Per questa discrezionalità nello stabilire ciò che è più o meno opportuno svolgere nello spazio pubblico, le ordinanze sul decoro sono funzionali alla rimozione dalle strade, oltre alle sex worker, di tutte quelle soggettività che non rientrano nei canoni normativi. In tal modo sono escluse intere comunità etniche, persone senza dimora o mendicanti, e in certi casi anche i e le giovani.

I loro atteggiamenti e talvolta la sola presenza fisica nei centri della città sono considerati degradanti poiché intaccano il modello normativo. Questa modalità escludente spinge a chiedersi quale sia l’idea di spazio pubblico che abbiamo oggi e dunque anche quale idea di società. Leggendo criticamente le dinamiche che interessano lo spazio pubblico è possibile infatti comprendere la società da cui esso è prodotto, ma anche che tipo di società esso stesso produce.

Politiche sociali per re-includere le sex worker

La marginalizzazione delle sex worker avviene per esclusione o per contenimento, ma più in generale si può dire che l’effetto ottenuto sia lo spostamento del fenomeno in zone meno in vista e dunque più nascoste, spesso più buie e pericolose per le persone coinvolte. Le sex worker sono costrette a lavorare in zone meno sicure e meno raggiungibili da eventuali unità di strada, che si occupano della loro incolumità. In questa scelta è implicita la suddivisione tra persone perbene e “permale”, da cui deriva il grado di legittimazione e diritto alla città.

Lo strumento per perpetrare tale discriminazione sono solitamente le politiche del decoro, che utilizzano una categoria estetica per esplicitare la caratteristica più auspicabile per le nostre città. Tali ordinanze infatti non sono delle soluzioni strutturali, ma dei provvedimenti illusori.

Sarebbe fondamentale, invece, immaginare politiche sociali in grado di portare un reale giovamento alle categorie più svantaggiate, che poi risultano essere quelle maggiormente criminalizzate anche solo per la propria condizione di povertà. Tuttavia, questo è possibile prima di tutto soffermandosi a comprendere quali sono i reali disagi sociali e le ingiustizie spaziali sottese. Ad esempio il diritto alla casa è un elemento importante per progredire nel proprio percorso di autodeterminazione e lo spostamento continuo dei soggetti più fragili non permette una loro emancipazione.

L’idea di città che questi provvedimenti perseguono è quella di un spazio urbano che predilige la cura cosmetica e l’ordine all’inclusività. Le scelte prese da uno stato di privilegio favoriscono gentrificazione e turistificazione, a scapito dell’accesso democratico allo spazio, di fatto mettendo a reddito i centri storici e le altre zone economicamente interessanti. In questo modo i problemi si stratificano e la questione anziché risolversi si fa più complessa.

Valeria Simonini

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