Cultura e Società Paesaggio

La città femminista. Dove lo spazio pubblico è inclusivo

La percezione di insicurezza nello spazio pubblico è spesso oggetto di dibattito e negli anni si sono susseguite molteplici proposte per migliorare l’esperienza urbana, fino all’idea della città femminista.

Anche la città di Trento ha provato a rispondere a tale problema. Il 13 giugno è stata rinnovata la convenzione tra il Comune e la cooperativa Radio Taxi Trento per l’erogazione di un buono da 50 euro per usufruire del servizio taxi. A tal proposito, sul profilo Instagram del sindaco Ianeselli si legge: “Per una donna [e per altre minoranze di genere nda] tornare a casa nelle ore serali può rappresentare un problema. Si allunga la strada pur di non passare da determinate zone, si evitano quelle più buie, si cercano vie in cui c’è più passaggio.”

I primi tentativi di rendere le città dei luoghi più sicuri alimentano le discriminazioni

La sensazione di diffidenza nei luoghi pubblici da parte delle donne è confermata dai dati ISTAT pubblicati nel giugno 2018, riferiti alle annualità 2015-2016. Particolarmente significativa è la percentuale di donne che, a causa di questo forte sentimento di paura, dichiara di non uscire la sera, il 36,6% (a fronte dell’8,5% degli uomini).

In alcuni casi la paura di molte donne a muoversi in città durante la notte rischia di essere strumentalizzata per legittimare alcune misure discriminatorie. Un primo filone di provvedimenti opera attraverso politiche securitarie volte all’esclusione dallo spazio pubblico di intere categorie di persone ritenute “indecorose” e dunque degradanti per la dimensione estetica della città. Il pregiudizio rispetto alla loro tendenza alla criminalità viene alimentato per raccogliere il consenso necessario alla loro rimozione dalle strade centrali in nome della sicurezza delle donne. Tuttavia le politiche per il decoro urbano si sono dimostrate uno strumento di marginalizzazione sociale e non rappresentano una soluzione in grado di rendere lo spazio pubblico un luogo di serenità e sicurezza.

Alcune realtà private, invece, hanno deciso di concentrarsi sull’esperienza delle donne nello spazio pubblico, proponendo delle app per guidarne i movimenti. Una di queste è Wher, ideata da Eleonora Gargiulo, una mappatura collettiva di luoghi e percorsi reputati più o meno sicuri per le donne in cui le utenti stesse indicano di volta in volta qual è il rischio percepito nelle diverse zone attraversate.

Due criticità che riguardano l’utilizzo delle app

Ci sono però alcune criticità. La prima riguarda sicuramente il protrarsi di pregiudizi discriminatori rispetto alla condizione sociale o lavorativa delle persone presenti nei luoghi, che spesso è tra i motivi per cui una strada viene sconsigliata. Ad esempio, nella sua ricerca di dottorato in merito alle Geografie del Sex Work, l’architetta urbanista Serena Olcuire ha svolto uno studio rispetto alla coincidenza tra giudizio espresso rispetto alle diverse aree della città di Roma e il numero di crimini effettivamente commessi. I valori di rischio percepito e rischio effettivo non corrispondevano e, anzi, quello che ne risultava era che la zona maggiormente affetta da reati era il centro storico.

La seconda criticità è il consolidamento del pensiero secondo cui sono le donne a doversi autodisciplinare, di fatto riducendo la propria libertà di movimento e di scelta. Suggerendo alle donne di non frequentare certi luoghi, infatti, non si risolve il problema di renderli effettivamente sicuri, ma si chiede loro di variare i propri percorsi ed orari. Oltretutto il rischio è di alimentare la colpevolizzazione di chi, non seguendo le indicazioni di queste app, dovesse avere esperienze di violenza o molestia.

L’approccio femminista

In maniera opposta lavora l’urbanistica di genere, la disciplina che si occupa dello sviluppo della città femminista. Una città dove lo spazio urbano è un luogo inclusivo e accogliente.

Innanzitutto, i relativi movimenti di attivismo si sono spesi per dimostrare il ruolo della struttura della città nel rafforzare la divisione dei ruoli di genere. Storicamente, infatti, lo spazio pubblico è stato pensato e costruito a misura d’uomo: la strada non è mai stata il luogo delle donne.

La prospettiva transfemminista può aiutarci ad immaginare una rigenerazione urbana sinceramente interessata alle persone che realmente abitano la città. La città femminista è possibile se per la sua pianificazione ci si impegna a dialogare con la molteplicità dei soggetti coinvolti, con le categorie escluse o a rischio di esclusione.

L’approccio intersezionale

Uno spunto che emerge da questo tipo di pensiero è quello di adottare un approccio intersezionale, anche per quanto riguarda la giustizia spaziale, ossia di considerare l’insieme di fattori che determinano la nostra identità e la nostra posizione di svantaggio o di privilegio.

Ad esempio, nel modello societario patriarcale, come quello prevalente in Italia, una donna è una soggettività meno forte di quella maschile, ma più forte rispetto ad una donna nera, che molto probabilmente incorre in episodi di razzismo. Lo stesso discorso può essere applicato a molte altre categorie: abile/disabile, ricca/povera, residente/turista.

L’intersezione esiste anche in termini di lotte. Ad esempio, la lotta al decoro che produce la marginalizzazione delle sex worker si interseca con la resistenza al processo di gentrificazione e turistificazione. Entrambi questi fenomeni hanno a che fare con la messa a reddito dei centri storici urbani e di altre parti di territorio interessanti dal punto di vista economico.

Per costruire una città femminista è fondamentale comprendere l’intersezione tra le molteplici dinamiche discriminatorie e affinare lo strumento che ci permette di costruire alleanze generative: l’empatia.

Sovvertire le dinamiche escludenti. Verso una città più inclusiva

L’esercizio collettivo che siamo chiamati a fare è di attraversare la città osservando i luoghi e chiederci: “Chi manca?” Provare a immaginare chi non è presente nello spazio; può trattarsi di intere comunità. Soffermarsi a pensare a come è cambiato l’uso delle piazze nel tempo. In che modo e perché sono scomparse alcune soggettività?

Dopodiché, guardiamo ai movimenti femministi come catalizzatori di riflessioni e pratiche comunitarie valide per sovvertire queste dinamiche escludenti. Essi ci suggeriscono di impegnarci nella riappropriazione di spazi pubblici chiusi e aperti, di organizzare attività per vivere, presidiare i luoghi della città ed evitarne la desertificazione. Un’altra proposta facilmente replicabile sono le camminate notturne. Queste marce comunitarie sono finalizzate a riappropriarsi, oltre che dei luoghi, anche dei tempi della notte, che vengono negati.

In conclusione, esistono delle azioni che possono essere svolte singolarmente. Sentirsi più o meno fuori luogo rispetto ai nostri comportamenti quotidiani è sintomo di uno spazio pubblico in grado di stabilire cosa è “normale”. Noi cittadini e cittadine possiamo provare a sfidare queste regole implicite e a ridefinire i confini di ciò che è opportuno fare nello spazio urbano. L’invito è ad abitare la città e renderla viva, a far sentire accolte tutte le persone nelle proprie molteplicità.

In altre parole, a rendere una città non solo curata ma curante. Questa è una città femminista.

Valeria Simonini

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Leggi anche:

Il ruolo dello spazio pubblico nel processo di marginalizzazione delle sex worker

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