Cultura e Società Sport

Destinati a competere?

“Avere ciò che si desidera, desiderando ciò che si ha”

Era il 1859 quando il mondo delle scienze naturali, e in particolare quello della biologia, fu ridefinito nei suoi assiomi di fondo da Charles Darwin, di ritorno dal suo viaggio sulla nave Beagle, a bordo della quale aveva potuto osservare delle caratteristiche presenti in qualsiasi essere vivente, eppure mai collocate prima di allora in un quadro finalmente (e finemente) organico. 

Col suo celebre saggio “L’origine delle specie” il naturalista e teologo britannico aveva individuato i meccanismi attraverso cui gli animali, ma più in generale qualsiasi essere vivente, possono evolvere e mutare, con particolare riferimento alla cosiddetta speciazione, ossia il processo tramite cui si formano nuove specie a partire da quelle preesistenti. 

Si tratta del fenomeno – ormai assodato – di selezione naturale, che incessantemente e (per quanto ne sappiamo finora) del tutto casualmente sfrutta alcune mutazioni genetiche fortuite per trarne benefici evolutivi destinati a divenire predominanti nelle generazioni che vi saranno soggette.

Accade infatti che a volte, anzi molto raramente, un errore nella duplicazione del DNA comporti un vantaggio in termini di adattabilità di un determinato organismo nei confronti di un particolare contesto, con la conseguente possibilità di volgere a proprio favore una competizione che lo vedrà prevalere sugli altri, fino eventualmente a soppiantarli.

Senza soffermarci ora sull’intuito formidabile di Darwin che aveva colto meccanismi genetici quasi un secolo prima della scoperta del DNA (J.Watson e Francis Crick nel 1953), si vuole qui porre l’attenzione sulla parola competizione: questa spinta produce infatti un avanzamento di uno o più caratteri non soltanto in campo biologico, ma concerne anche molteplici prerogative attinenti al progresso del genere umano.

La questione si fa via via più complessa se ci si deve mettere d’accordo sulle varie facce del progresso, dacché l’umanità in quanto comunità di esseri senzienti non può certo trascurare un progresso etico, parallelo a quello medico, tecnologico e in generale attitudinale.

Se veniamo a considerare l’ambito sportivo, va da sé che la competizione sia il motore che sprona il miglioramento e la ricerca di un livello più elevato, basti pensare a come e quanto ha dovuto trasformarsi Nadal nell’era Federer, fino a batterlo e superarlo (e viceversa), o a quanta perfezione tecnica è stata raggiunta da Hirscher nell’era Ligety (in slalom gigante) quando in ambo i casi sembrava impossibile che un nuovo atleta potesse porre ancora più in alto l’asticella. Ecco, la competizione ha posto fine a stalli che perduravano da anni.

Ma l’essere umano è un animale ambizioso, il che comporta una continua ricerca di condizioni più vantaggiose che, se vanno a discapito di altre persone, rischiano di causare conflitto. Questo a meno che non smuovano la peculiarità umana che esula più di tutte dal concetto di selezione naturale: la coscienza.

Nell’era moderna, la lotta per la vita affianca però la competizione verso conquiste di stampo economico, ed è proprio in questo filone che sono state colte evidenze o congetture preoccupanti. 

Il riferimento è principalmente alla cosiddetta “Mano Invisibile”, un concetto teorizzato dall’economista Adam Smith nel diciottesimo secolo, che afferma l’esistenza all’interno di un sistema economico di un risultato complessivo (ma non intenzionale) positivo nonostante i singoli protagonisti operino esclusivamente per il loro mero interesse. Significa quindi che la ricerca di un beneficio per sé soltanto genera ordine e sviluppo economico in una comunità dove tutti agiscano in questo modo.

In questo Smith leggeva un non meglio precisato ruolo della Provvidenza, eppure in tempi moderni qualcuno potrebbe trovare in ciò la giustificazione di un capitalismo senza regole, dove nessuno è tenuto a guardare gli interessi degli altri se non per tentare di appropriarsene.

Fortunatamente, a smentire questo concetto è intervenuta la teoria dei giochi, un ramo della matematica moderna divenuto popolare anche per essere stato oggetto di studi del poi premio Nobel John Nash (quello del film A Beautiful Mind). Ramo che ricopre un ruolo chiave non solo in ambito accademico ma anche in quello economico e politico. Per non perdere di vista il senso pratico, si pensi a questo esempio estremo ma altrettanto lampante.

In una vendita per corrispondenza, un ipotetico acquirente ordina un bene da un venditore. Se ciascuno dei due agisse unicamente per il proprio interesse che cosa succederebbe? L’acquirente non vorrebbe pagare nonostante la certezza di ricevere il bene acquistato, e al contempo il venditore non vorrebbe privarsi della propria dotazione nonostante il pagamento ricevuto, col risultato che l’uno non avrebbe la merce, mentre l’altro non avrebbe il denaro in cambio. 

Stando così le cose, non potrebbe esistere la vendita per corrispondenza e le condizioni dell’uno non potrebbero migliorare, se non peggiorando quelle dell’altro. C’è pertanto un limite alla competizione individualista, quello della sensibilità verso la condizione altrui. A maggior ragione dal momento che questa risulta essere, come appena accennato, fondamentale per la realizzazione di un accordo che renda possibile un vantaggio comune. 

Esistono numerosi paradossi che vertono su questi concetti di comunità (si veda ad esempio il paradosso del prigioniero), tutti solubili se ci si ricorda di essere in una comunità e non in un’ammucchiata dove infine prevale uno solo, come nel regno animale o come, per non andare troppo lontani, in una dittatura. 

Abbiamo la chance, come genere umano, di svincolarci parzialmente dunque da quella cieca propulsione all’adattamento e alla selezione che sta scritta nelle regole della biologia, tra le pagine della teoria dell’evoluzione e nelle sequenze di basi azotate del nostro DNA. 

Questa sorta di libertà ci è resa possibile grazie alla coscienza di cui sopra. Una coscienza da utilizzare per dirigere la competizione verso la collaborazione, per porre un freno o quantomeno un tampone, alle leggi di natura con cui dobbiamo e dovremo comunque aver a che fare.

“La coscienza è il progressivo affrancamento delle leggi poste a monte” (Edoardo Boncinelli)

Davide Girardi

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