Cultura e Società Locale

Il Dolomiti Pride riparte dall’intersezionalità

Dopo cinque anni dalla prima, riuscitissima edizione, che vide la partecipazione di quasi diecimila persone, il Trentino – Alto Adige si tinge nuovamente di arcobaleno. Sabato 3 giugno, a Trento, la parata del Dolomiti Pride coronerà un lungo percorso di avvicinamento fatto di incontri con la cittadinanza, assemblee aperte e tavoli di lavoro.

In prima linea le associazioni LGBTQIA+ sul territorio, co-autrici di un ambizioso documento politico le cui parole d’ordine sono visibilità e intersezionalità. Nella sua versione integrale, il lungo manifesto abbraccia quanti più aspetti possibile dell’esperienza queer locale e nazionale, dalle istanze LGBTQIA+ maggiormente note, come l’ampliamento del diritto familiare, fino ad aspirazioni più radicali, quali il superamento del binarismo di genere o la destigmatizzazione del lavoro sessuale.

Il Pride sul territorio

La parata di sabato, che sarà parimenti un’occasione di celebrazione e di lotta, giunge al culmine di un lungo lavoro di sensibilizzazione portato avanti da anni da attivisti e attiviste sul territorio. Marina Zanotelli, associata di AGEDO Trentino, che riunisce i genitori di persone LGBTQIA+, porta la propria esperienza nelle scuole superiori della Provincia. Da qualche tempo, l’associazione ha anche iniziato a fare formazione con gli adulti, sui luoghi di lavoro.

“C’è un gran bisogno di fare formazione con le persone adulte piuttosto che con i giovani,” dice Marina. “Nel linguaggio comune tra le persone adulte non sono neanche compresi certi termini, mentre tra i giovani sono scontati. Ogni volta che vado nelle scuole ne esco sempre molto speranzosa.”

Un certo ottimismo è dato dal “leggero, ma costante aumento” degli iscritti, che segna anche un ricambio generazionale. “Si sente il bisogno di sostenere la causa,” riflette Marina, “e questo ci dà voglia di andare avanti e migliorare.”

In crescita è anche Famiglie Arcobaleno del Trentino – Alto Adige, l’associazione che si occupa delle famiglie omogenitoriali e dei loro figli. Secondo la referente interna Johanna Mitterhofer, uno dei punti di forza dell’associazione è la presenza capillare dei propri membri sul territorio.

“È un segnale bello del fatto che le famiglie arcobaleno esistono dappertutto, come ovviamente anche le persone queer. E vivendo sparsi per tutto il territorio, la società entra in contatto con tanti di noi,” racconta Johanna.

Come AGEDO, Famiglie Arcobaleno mira a fare rete attraverso tavoli tematici e incontri con la comunità locale, specialmente nelle scuole e nelle biblioteche: “Diamo occasione ai ragazzi o anche ai bimbi di farci delle domande che altrimenti non potrebbero fare a nessuno, sulla omosessualità e tutto quello che ci gira attorno, fino alla genitorialità.”

Il Dolomiti Pride e le istituzioni

Mentre sia Johanna che Marina riferiscono di aver avuto esperienze generalmente positive con la comunità, la politica sembra essere decisamente un altro paio di maniche. Molti Comuni, tra cui quelli di Bolzano, Trento e Rovereto, hanno concesso il patrocinio al Dolomiti Pride 2023, mentre la Provincia Autonoma di Bolzano l’aveva fatto nel 2018. Manca all’appello ancora la Provincia Autonoma di Trento, dopo il controverso rifiuto già espresso dalla precedente amministrazione.

Il recente cambio di governo a livello nazionale non ha certo aiutato. Johanna sottolinea come, benché leggi adeguate sui diritti delle famiglie arcobaleno mancassero da ben prima del governo Meloni, “c’è molta più pressione proattiva da parte del governo verso, per esempio, i sindaci e i comuni.”

Un dibattito ideologico

Proprio lo scorso mese Famiglie Arcobaleno era impegnata in un sit-in di protesta a Trento a seguito della diffida della prefettura verso il sindaco, Franco Ianeselli, dal registrare all’anagrafe i figli nati da coppie omogenitoriali, una pratica che molti comuni italiani svolgono da anni nel contesto di un inquietante vuoto normativo che nessuna legislatura si è mai data la pena di colmare.

Questo lascia le famiglie omogenitoriali, nelle quali solitamente almeno uno dei componenti della coppia non è il genitore biologico dei figli, in una situazione di incertezza e preoccupazione.

“Le famiglie hanno paura, anche quelle che hanno ottenuto il riconoscimento del comune dalla nascita. Sai che ogni giorno potresti essere chiamata e ti potrebbe essere detto che il certificato [di nascita] non è più valido, quindi che tuo figlio non è più tuo figlio,” spiega Johanna.

“Le famiglie si sentono sotto attacco mediatico e politico, perché le tematiche di cui si parla sono soprattutto quelle più controverse, ad esempio la GPA. Questo rende difficile il confronto e il dibattito, perché una persona sente parlare di famiglie arcobaleno, di due mamme, di due papà, e pensa solo e soltanto all’utero in affitto.”

Una politica ostile ha certamente interesse ad alzare i toni, facendo leva sulle controversie sollevate da alcuni temi delicati per precludere qualsiasi aspetto della discussione. Marina chiosa: “Tutto è ridotto ad un dibattito ideologico, non politico né di benessere [della persona]. Ma ho capito che la politica è lontana dalla società, la gente comune la pensa diversamente. E questo si coglie tantissimo, quando si parla di adozioni e di matrimonio egualitario.”

Un Dolomiti Pride politico

Si prospetta, dunque, un Dolomiti Pride più che mai politico, come da migliore tradizione queer. Negli ultimi decenni il Pride ha subito una forte commercializzazione, soprattutto nei paesi anglosassoni. Cresce così la partecipazione di aziende private, che vedono nell’evento un’occasione di marketing e un ritorno di immagine, ma anche di istituzioni tradizionalmente ostili alla comunità queer. Ad esempio, la presenza di associazioni LGBTQIA+ legate alle forze dell’ordine, come Polis Aperta, è stata e rimane un tema divisivo all’interno della comunità stessa.

Tuttavia, l’inclusione di queste entità conduce spesso alla marginalizzazione delle identità queer ritenute meno conformi e “rispettabili”, voltando le spalle alle radici stesse del movimento di liberazione omosessuale. Sylvia Rivera, una sex worker transgender, e Stormé DeLarverie, una donna lesbica che si esibiva come drag king, furono protagoniste durante i moti di Stonewall del 1969, scatenati proprio dalla resistenza opposta ad un raid della polizia nell’omonimo locale gay newyorkese.

Come testimonia la recente aggressione di Bruna, una donna transgender brasiliana, ad opera di quattro agenti della polizia locale di Milano, i membri della comunità queer che vivono all’intersezione tra diverse discriminazioni rimangono estremamente vulnerabili alla violenza istituzionale.

Uno sguardo “ampio”

Il Comitato Organizzatore del Dolomiti Pride ha chiaramente prestato attenzione alla diversità dell’esperienza queer. Dai diritti delle donne, come accesso alla interruzione volontaria di gravidanza e congedo mestruale, fino alle politiche migratorie, il documento politico si concentra sulle diverse dimensioni che la discriminazione può assumere nel quotidiano e propone soluzioni che, mirando allo smantellamento di strutture basate su una rigida mentalità eteronormativa e patriarcale, attingono chiaramente all’esperienza queer in senso lato.

Emblematico è l’esempio del poliamore e della asessualità, due esperienze che mettono in crisi, in modi diversi, il modello unico della famiglia nucleare composta da genitori (omosessuali o eterosessuali) e figli.

Famiglie Arcobaleno sottolinea l’importanza di questa espansione. “È stato bellissimo leggere che non si parlava soltanto di famiglia tradizionale, quindi due genitori più figli, ma anche di tutte le relazioni che vanno al di fuori di questo concetto. È importante aprire il dialogo su queste relazioni, non nuove perché ovviamente sono sempre esistite, però che esistono e che devono essere riconosciute non soltanto dalla società, ma prima o poi anche dalle leggi,” dice Johanna.

A partire dal linguaggio, il documento politico sottolinea l’importanza di un atteggiamento “ampio” piuttosto che “inclusivo”. Come si legge nella premessa: “Finché c’è qualcunə da includere, allora ci sarà la percezione di una divisione della società tra normale e anormale, con annesso il giudizio negativo verso chi è fuori norma.”

Francesca Di Fazio

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