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Malattie invisibili: il dolore senza voce di milioni di donne

“È tutto nella tua testa” è la risposta che milioni di donne affette dalle cosiddette malattie invisibili hanno ricevuto almeno una volta nella loro vita, trascorsa per anni alla ricerca del riconoscimento medico e sociale della loro condizione patologica.

Si tratta di patologie croniche che non hanno caratteristiche osservabili tramite esami diagnostici specifici e in quanto tali, per molte persone, non sono reali oppure non sono percepite come realmente invalidanti. 

Vulvodinia, neuropatia del pudendo ed endometriosi sono solo alcune delle malattie in questione, che spesso vengono classificate come disturbi psicosomatici, ossia risposte fisiche ad un disagio psicologico. Spesso, però, queste malattie nascondono qualcosa di ben più profondo e complesso. 

Dal punto di vista clinico, come anticipato, è difficile diagnosticare queste patologie per via dell’assenza di elementi patognomici che, in medicina, indicano le peculiarità oggettive che permettono la diagnosi certa di una malattia, come un parametro sanguigno alterato o un referto radiologico. 

Le pazienti, che hanno in media un’età compresa tra i venti e i trent’anni, riferiscono principalmente dolore e/o bruciore a livello dell’apparato genito-urinario e della regione pelvica, che corrisponde alla parte inferiore del tronco del corpo umano, tra l’addome e le cosce. I sintomi possono insorgere spontaneamente o in seguito a stimoli quali la penetrazione, lo sfregamento, il movimento e la posizione seduta prolungata.

Ciascuna delle malattie poi ha dei sintomi particolari. Nella vulvodinia, dove il dolore si concentra a livello dell’ingresso del canale vaginale e/o del clitoride, la paziente lamenta anche secchezza, prurito e ipersensibilità o gonfiore nell’area della vulva. Colpisce dal 10% al 16% delle donne. 

Nella neuropatia del pudendo, dove la causa è l’infiammazione del nervo pudendo (motivo per cui tale patologia ricorre, in minor misura, anche negli individui maschi vista la presenza dello stesso nervo), il dolore è esteso posteriormente fino all’ano. L’AINPU, l’Associazione Italiana per la Neuropatia del Pudendo, riporta che ne soffre l’1% della popolazione. 

Nell’endometriosi, il processo patologico è ancor più diffuso e complicato dato che coinvolge ovaie e retto ed implica la comparsa di tessuto simile al rivestimento interno dell’utero (endometrio) in zone extrauterine. Colpisce circa 1 donna su 10 (1 su 9 se consideriamo invece le persone non binarie con vulva). 

In questa malattia, i sintomi sono più numerosi e comprendono mestruazione dolorosa e abbondante, stipsi o diarrea per il potenziale coinvolgimento gastrointestinale, dolore lombare e durante la defecazione e minzione. Nel 30-50% dei casi, la paziente è infertile: capita spesso che la diagnosi di endometriosi sia intuita anche per l’incapacità della donna di rimanere incinta. A questo, si aggiungono la stanchezza, facile affaticamento e ripercussioni sul piano psicologico come ansia e depressione.

Le complicanze di pertinenza psicologica e psichiatrica possono essere tali da richiedere, oltre alla terapia psicologica, quella farmacologica. Il malessere psicologico non è solo conseguenza diretta della malattia ma anche delle difficoltà che le pazienti incontrano nel contesto sociale per via della loro condizione sconosciuta e incompresa ai più, alla cui diagnosi si arriva per esclusione e con un ritardo che va dai cinque ai dieci anni. 

Per questo, tali malattie sono state ignorate per molto tempo e associate erroneamente soltanto alla sfera emotiva delle donne a tal punto da portare le stesse a considerarle situazioni normali da sopportare. Ma non è normale stare male. Cosa sta facendo lo Stato e qual è la posizione del Sistema sanitario nazionale?

Diciamolo subito: non ci sono buone notizie.

Ad oggi, non esiste un elenco aggiornato e istituzionale di queste patologie, né sono associate ad un codice identificativo specifico. Eccezion fatta per l’endometriosi, riconosciuta nel 2017, sono malattie che non rientrano nei LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza: significa che per le pazienti non sono previste prestazioni o servizi forniti dal Servizio sanitario nazionale e che il pagamento di visite, farmaci e spese di spostamento (dato che sono pochi gli esperti specialisti sul territorio nazionale) è totalmente a loro carico.

I tempi d’attesa sono talmente lunghi da costringerle a rivolgersi a strutture specialistiche private. Le pazienti vengono sballottate da un ospedale all’altro e da un reparto all’altro sottoponendosi a controlli urologici, ginecologici, sedute di fisioterapia e psicoterapia al termine dei quali difficilmente ottengono delle risposte chiare ed esaustive.

Il principale indagato per la difficoltà e i ritardi diagnostici sta nel fatto che in Italia e nel mondo intero la ricerca, i criteri diagnostici e le direttive terapeutiche sono studiate su un corpo maschile che pesa 70 kg e presenta ovviamente funzionalità diverse da quelle femminili. 

Il libro Invisibili dell’autrice, giornalista ed attivista Caroline Criado Perez, spiega in tal senso come il mondo sia da sempre stato disegnato a misura d’uomo e di come l’assenza di dati di genere riguardi anche il campo medico. I criteri diagnostici e terapeutici utilizzati al giorno d’oggi sono stati sviluppati principalmente tramite osservazioni e test clinici su individui di sesso maschile e peso standard di 70 kg. 

Questo conduce spesso ed inevitabilmente a conclusioni errate quali l’esclusione di un infarto cardiaco in una donna per la presenza di sintomi atipici. Ad esempio, se nell’uomo il sintomo più ricorrente è il dolore toracico di tipo oppressivo, nella donna il dolore tende a localizzarsi maggiormente a livello della schiena. 

Con la diffusione e la promozione della medicina di genere potrebbero sicuramente esserci dei risvolti positivi nel contrasto delle malattie invisibili e, in generale, delle lacune diagnostiche permettendo la gestione e la cura ottimali delle pazienti.

La medicina di genere infatti, consiste nell’adozione di un approccio interdisciplinare e di precisione che, come tale, interessa tutte le branche della medicina con lo scopo di studiare l’influenza del sesso e del genere sulla fisiologia, la fisiopatologia e la patologia umana, vale a dire su come si sviluppano le patologie, quali sono i sintomi, come si fa prevenzione, diagnosi e terapia negli uomini e nelle donne. 

A conferma della necessità di rivedere protocolli, dosaggi e test clinici strutturati esclusivamente sul modello maschile ci sono dei dati sconcertanti raccolti dalla community online Hale, secondo cui, ad esempio, le donne hanno il 50% di probabilità in più rispetto agli uomini di ricevere una diagnosi errata in caso di infarto e dovrebbero utilizzare una dose di antidolorifico superiore del 30% rispetto agli uomini per ottenere lo stesso effetto terapeutico.

Inutile quindi ribadire, in conclusione, che per curare le malattie in questione e le pazienti in generale, sia importante anche abbattere l’assunto, su cui si basa anche la medicina, secondo cui il corpo maschile rappresenta l’intera umanità e definire quindi dei parametri e criteri ad hoc per quello femminile.

Iman Azri

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