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La sfida globale dei detriti spaziali

I satelliti artificiali rappresentano indubbiamente una risorsa per un numero sempre crescente di attività umane, tra cui la meteorologia, le telecomunicazioni, la navigazione, l’agricoltura e la ricerca scientifica. Tuttavia con l’aumentare della popolazione di satelliti diventa sempre più concreto il problema dei detriti spaziali (space debris). Si tratta di oggetti artificiali in disuso localizzati in orbita terrestre che minacciano la sicurezza di astronauti, satelliti, lanciatori e possono addirittura rendere inutilizzabili intere orbite.

Dall’inizio dell’era spaziale, il 4 ottobre 1957 con il lancio dello Sputnik 1, il numero di detriti ha continuato a crescere. Tre eventi, in particolare, hanno influenzato significativamente questo andamento: il test di un’arma antisatellite (ASAT) cinese nel 2007, la collisione tra il satellite commerciale statunitense Iridium 33, attivo, e il satellite militare russo Kosmos 2251, defunto, nel 2009 e il test ASAT russo nel 2021.

La scala globale del problema impone una soluzione che coinvolga tutte le parti, pubbliche e private, che operano nel settore.

La situazione attuale

Per il coordinamento a livello mondiale delle questioni relative ai detriti artificiali nello spazio è stato istituito nel 1993 un forum governativo internazionale, l’Inter-Agency Debris Coordination Committee (IADC). L’IADC coordina lo scambio di informazioni sulle attività di ricerca tra le agenzie associate, tra cui l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI).

Gli obiettivi maggiormente condivisi a livello internazionale sono la limitazione del rilascio di detriti durante le normali operazioni, la minimizzazione della probabilità di rottura in orbita, lo smaltimento al termine della missione e la prevenzione delle collisioni. Nel 2002 l’IADC ha pubblicato le linee guida per la mitigazione dei detriti spaziali indicando come gestire le missioni lungo l’intero ciclo di vita. Tuttavia spetta ancora alle singole nazioni, ai singoli operatori e produttori la scelta di attuarle.

Dal 2017 lo Space Debris Office dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) pubblica annualmente un rapporto sullo stato di salute dello spazio per fornire una panoramica trasparente delle attività extra-atmosferiche a livello globale, stimarne l’impatto sull’ambiente e quantificare l’effetto delle misure di mitigazione attuate. I dati aggiornati a dicembre 2022 comprendono circa 31990 detriti tracciati e catalogati regolarmente.

Se si considerano gli oggetti che possono essere solo stimati statisticamente si hanno 36500 detriti più grandi di 10 cm, 1 milione compresi tra 1 cm e 10 cm e 130 milioni compresi tra 1 mm e 1 cm. La maggior parte dei detriti può essere individuata ad un’altitudine compresa tra 800 e 1000 km e si muove ad una velocità di circa 7 km/s.

Per monitorare l’ambiente orbitale terrestre l’Unione Europea ha istituito nel 2014 lo Space Surveillance and Tracking Support Framework (EUSST). Si tratta di in una rete di sensori, a terra e in orbita, che rileva e traccia gli oggetti spaziali: a partire dai dati ottenuti si valutano i rischi di collisioni e di rientro incontrollato nell’atmosfera.

Dal 2015 il traffico spaziale, in particolare in orbita terrestre bassa (LEO) che si estende fino a 2000 km di altitudine, sta subendo notevoli cambiamenti. Questi sono alimentati dalla miniaturizzazione dei sistemi spaziali, dalla formazione di costellazioni artificiali e dalla transizione verso operatori commerciali. Il 2020 ha rappresentato l’anno di svolta per le costellazioni satellitari.

Formate da unità sempre più piccole e numerose, esse rappresentano una sfida di sostenibilità a lungo termine. Le costellazioni stanno cambiando anche il modo di accedere allo spazio, poiché utilizzano sempre più frequentemente il lancio di più satelliti in contemporanea, che permette di ridurre i costi ma complica le attività di tracciamento dei singoli oggetti.

In orbita terrestre bassa, un satellite deve essere rimosso entro 25 anni dal termine della missione e, compatibilmente con le sue dimensioni, può essere completamente disintegrato durante il rientro in atmosfera oppure guidato per precipitare in modo controllato in zone prestabilite senza rischi per cose o persone. A differenza della LEO, per l’orbita geostazionaria (GEO), localizzata a circa 36000 km di altitudine, non è possibile far rientrare il satellite in atmosfera. Pertanto gli oggetti in questa regione sono manovrati al termine della missione verso un’orbita cimitero, situata 300 km oltre la GEO, per evitare interferenze con i satelliti attivi.

Gli obiettivi per il futuro

Sebbene sia in aumento il numero di lanciatori e satelliti per cui viene completata con successo la rimozione dall’orbita alla fine della missione, se non si adottano tempestivamente misure concrete su scala globale non è possibile scongiurare del tutto la sindrome di Kessler. Tale scenario è stato descritto dall’astrofisico statunitense Donald J. Kessler in un articolo pubblicato nel 1978 con Burton G. Cour-Palais su Journal of Geophysical Research.

I due scienziati della NASA hanno proposto un modello di crescita esponenziale per la popolazione dei detriti spaziali: il risultato della reazione a catena, alimentata da collisioni e formazione di nuovi detriti, sarebbe la costituzione di una cintura di oggetti attorno alla Terra che comprometterebbe l’accesso allo spazio.

Nonostante si stia costantemente lavorando per tracciare e rimuovere i detriti dalle orbite più congestionate, l’attuale gestione dello spazio è tuttavia ancora insostenibile a lungo termine, stando all’estrapolazione presentata nel rapporto dello Space Debris Office, sopra citato, che copre i prossimi due secoli. Anche se si sospendessero i lanci in orbita, infatti, si prevede che le collisioni tra gli oggetti spaziali già presenti porterebbero ad un ulteriore aumento della popolazione di detriti.

Pertanto le linee guida dell’IADC devono necessariamente essere accompagnate da azioni di pulizia attiva dell’ambiente extra-atmosferico. Seguendo un approccio ecologico alle attività spaziali, l’iniziativa Clean Space dell’ESA, iniziata nel 2013, prevede di agire su tre livelli: integrare la sostenibilità ambientale nel progetto delle missioni spaziali, sviluppare tecnologie per prevenire la formazione di ulteriori detriti e rimuovere attivamente quelli già presenti.

L’approccio Zero Debris, inoltre, amplia il piano di azione dell’ESA, tracciato con l’iniziativa Clean Space e il programma Space Safety, e rappresenta l’obiettivo di fermare totalmente la generazione di detriti entro il 2030. L’ESA raccomanda pertanto: la definizione di orbite “preziose”, come quelle del sistema satellitare globale di navigazione (GNSS), l’aumento della probabilità di rimozione autonoma dei detriti a fine vita, l’incremento della pulizia delle orbite terrestri, il miglioramento delle strategie di tracciamento e prevenzione delle collisioni, l’obbligo di evitare frammentazioni con misure di passivazione,  la prevenzione del rilascio intenzionale di detriti, la standardizzazione di modelli per la stima del rischio di impatto a terra e il contenimento dei disagi per le osservazioni astronomiche.

L’interesse ad agire rispetto al problema dei detriti spaziali non è una prerogativa europea. A dicembre 2022, infatti, il Senato degli Stati Uniti d’America ha approvato con consenso unanime l’Orbital Sustainability Act, che richiede alla NASA di stabilire un programma di rimozione attiva dei detriti.

Inoltre, a marzo 2023, l’OTPS (Office of Technology, Policy, and Strategy) dell’agenzia spaziale statunitense ha effettuato un’analisi dei costi e dei benefici di possibili soluzioni al problema dei detriti spaziali: il rapporto mostra, in una prospettiva del tutto inedita, la convenienza economica a breve termine di un’azione di pulizia attiva dell’ambiente extra-atmosferico. L’auspicio è che nel prossimo futuro si possa costituire un nuovo settore commerciale improntato alla salvaguardia delle orbite terrestri: una risorsa tanto limitata quanto essenziale per lo sviluppo della nostra società.

Francesco Marzari

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