Voci di comunità

Saffo, Sumeri e autostrade: una riflessione sul progresso morale

Ferragosto, 40 gradi. Una fila interminabile di macchine, immobili. L’asfalto sembra liquefarsi sotto i raggi del sole. Negli abitacoli, i volti inespressivi e rassegnati dei vacanzieri.
Il tempo passa. La coda si allunga. Le macchine sono ancora immobili, i cruscotti sempre più roventi.
Ad un tratto, un clacson suona, poi un altro, poi un altro ancora.
E su di un’ anonima fiat, un uomo ha iniziato ad imprecare. Impreca contro il traffico, contro l’automobilista che gli sta accanto, contro il governo, contro la gestione delle autostrade, contro l’idea di partire a ferragosto, e pure contro la moglie che lo invita a calmarsi. Fermiamoci un attimo e osserviamo il volto dell’uomo.
Le sopracciglia stanno inclinate sugli occhi, divise da un solco profondo. Il naso appare più largo. La bocca è aperta, gli incisivi bene in vista. Le guance sono arrossate, ingrossata la vena del collo.

Ora facciamo un salto all’indietro di quattromila anni, nell’attuale Iraq.
Un’altra fila interminabile di persone in attesa di entrare nella città più grande del mondo, Ur.
Fa caldo, molto caldo. Stessi volti inespressivi e rassegnati. Non ci sono clacson, ma ecco un urlo, poi un altro, poi un altro ancora; ne nasce un boato continuo e discorde.
Un uomo inizia prendersela con quello accanto.
E l’espressione d’ira prima descritta riappare, identica nonostante l’immenso intervallo di anni.

Altro salto temporale.

Duemilacinquecento anni fa. Grecia. Una ragazza guarda il cielo notturno , e tocca le corde della sua lira, e canta:

Tramontata è la luna

con le Pleiadi; e la notte

è al mezzo; e fugge il tempo;

ed io da sola dormo…

Notturno immortale, la cui bellezza risiede non tanto nella meravigliosa ed essenziale descrizione naturalistica, e neppure nelle due notazioni temporali, bensì nel verso conclusivo, che conferisce colore e senso ai precedenti: la solitaria inquietudine della poetessa si è impadronita dello spazio e del tempo; e quella luna che tramonta con l’altre stelle diviene una dolorosa sentenza, e carica di malinconia è la mezzanotte, e quanto rapido avvertiamo lo scorrere delle ore!
Tutto ora è pervaso di sentimento, tutto è umano, e tutto, di conseguenza, è bellezza, la quale non appartiene intrinsecamente alla natura o al tempo, ma all’uomo che con il suo sentire dona loro significato.
Per questo i versi della poetessa potrebbero essere stati scritti oggi e potranno essere scritti domani, e domani l’altro, e fino quando ci saranno uomini che vedono, che sentono, che vivono.

Fermiamoci ancora, e paragoniamo questo quadro notturno e sublime con quello quotidiano prima descritto e domandiamoci: siamo oggi, come individui, come essere umani, migliori rispetto al passato? Siamo oggi più sensibili, più generosi, più giusti? Esiste, quindi, una qualche sorta di progresso morale che sia riuscito a modificare la nostra natura? 

Certamente, pensando all’automobilista, possiamo supporre che un’irrazionale propensione all’ira e alla meschinità  ci sia  sempre stata propria. Parallelamente, nei versi di Saffo, osserviamo che pure una certa, profonda sensibilità sia  presente dentro di noi da tempo immemore. 

Eppure tutto muta. Mutano le leggi e i costumi, mutano le lingue, mutano le nazioni e i popoli, muta il paesaggio, mutano i continenti, muta la terra, e muta il sole. Ma pare che tutto questo avvenga come in superfice; e che l’essere umano, sebbene viva nel mutamento, conservi in sé, intatto, quell’inesauribile segreto che lo individua e lo differenza da ciò che lo circonda: la sua oscillante umanità in continua ricerca d’equilibrio fra spregevole e sublime. 

Tutti sperimentiamo questo mistero. Quando è pronunciato il mio nome so esattamente che qualcuno si sta riferendo a me e non ad altri. Tuttavia, se dovessi spiegare in cosa  esattamente consista quello che il mio nome vuole significare, mi mancherebbero le parole e dovrei forse elencare una serie di azioni rappresentative, alcune buone, altre cattive, capaci di esemplificare che sia ciò che chiamo “io”, nel bene e nel male; e so per certo che non sarei contento della scelta, perché approssimativa, inadeguata, insufficiente nel definire esatta la totalità del mio essere. 

Ancora.

Ogni creazione del nostro ingegno porta impressa questa dicotomia intrinseca. Il benessere, di cui oggi godiamo, è fratello delle atrocità della prima e della seconda guerra mondiale, figli entrambi dello straordinario progresso tecnologico del secolo scorso. 

E per quanto pervasivo possa essere stato tale progresso, il nocciolo morale dell’uomo non ne è stato scalfito. Ogni volta che ci osserviamo sinceramente, scopriamo sempre e di nuovo quelle paure, quelle ansie, quelle meschinità e quelle gioie che furono di tutti gli uomini prima di noi e che saranno dei nostri figli. 

Certo, le rappresentazioni esteriori di queste emozioni continueranno a modificarsi, e il notturno di Saffo sarà scritto in altro modo, in altre lingue, in altri metri, da altre persone, ma sempre significherà quel  medesimo segreto che ci abita. 

E forse non saremo mai “migliori” in senso assoluto. Forse, piuttosto che interrogarci sull’esistenza di un progresso morale, è la meditazione intorno la questione stessa a possedere valore: e, riflettendo, il tempo si dissolve ed io sono un sumero e un greco e un europeo moderno; e sono un uomo delle caverne che sussulta al freddo ed al terrore della notte; e mi sento partecipe dell’intera vicenda umana; intimamente vicino a tutti coloro che procedono spediti sull’assurda autostrada della vita.

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