La libreria di passaggio Voci di comunità

Aprite gli occhi

La libreria di passaggio per il mese di agosto torna in Africa, in particolare in Uganda, con un libro uscito un paio d’anni fa (2021 nella versione in lingua originale, l’anno successivo nell’edizione italiana per Feltrinelli) ma che certamente è più attuale e allarmante che mai nei contenuti. Si tratta di Aprite gli occhi. La mia lotta per dare una voce alla crisi climatica, scritto da Vanessa Nakate, giovane attivista per il clima ugandese che ha saputo attirare con la sua lotta per l’ambiente l’attenzione globale non soltanto sul problema della crisi climatica ma più precisamente sul ruolo che l’Africa sta giocando all’interno di questa drammatica situazione.

La prima cosa che ci è piaciuta di Vanessa Nakate è l’umiltà e l’onestà con cui si racconta e presenta il proprio operato. È interessante anche vedere con quanta rapidità e apparente facilità una ragazza a tutti gli effetti normali, con una buona educazione ma senza grandi mezzi, sia riuscita a mettersi in luce a livello internazionale per il proprio impegno. Nata come una semplice attivista che si ispirava a Greta Thunberg e ai suoi Fridays For Future, la sua determinazione e alcune scelte vincenti l’hanno presto proiettata sul panorama globale, con connessi inviti a conferenze organizzate dall’ONU e da molte altre manifestazioni in giro per il mondo.

È forse importante sottolineare qui un paio di fatti che ci sono rimasti impressi. In primo luogo Vanessa Nakate si propone come una persona estremamente ordinaria, in tutto e per tutto. È un personaggio con cui è facile per qualsiasi giovane interessato alla crisi climatica identificarsi: non ha genitori milionari, non è cresciuta studiando in tutte le migliori scuole internazionali, non ha avuto successo grazie a qualche amico di amici con le mani in pasta nei luoghi giusti. Questo non significa che abbia fatto tutto da sola, ma sicuramente il suo percorso è stato dettato da un grande investimento personale nella causa e da un carattere tenace e socievole che le ha permesso di trovare amici e alleati pronti a darle una mano al momento opportuno. La sua storia racconta a tutti noi quanto al giorno d’oggi possano fare i social media, quanto valga un hashtag usato bene e la costanza nelle proprie imprese.

Ci ha colpito molto poi una sezione in cui, raccontando dei suoi primi scioperi per il clima, spiega come il suo progetto si sia dovuto scontrare con una situazione politica non facile e un governo che di democratico ha poco. L’Uganda non è famoso per la difesa e il rispetto dei diritti umani e scioperi e manifestazioni non sono ben visti dalle forze dell’ordine. Non è raro che i manifestanti vengano arrestati, picchiati o accusati di crimini per cui le pene sono assai più pesanti di quanto possiamo immaginare. Questo panorama, purtroppo, non è inusuale nei Paesi africani, in cui i governi sono spesso profondamente corrotti se non vere e proprie dittature militari. Molti di noi, probabilmente, si sarebbero spaventati all’idea di andare in piazza ad alzare la voce, per quanto in una lotta non direttamente rivolta al governo del Paese. Molti si sarebbero lasciati intimorire dalle minacce di conseguenze e avrebbero rinunciato. È ciò che spesso accade nei Paesi con questo genere di problemi e uno dei principali motivi per cui ci sono così pochi attivisti provenienti da nazioni non appartenenti al cosiddetto “primo mondo”. Nakate però non ha mollato ed è affascinante leggere di come abbia cercato di aggirare le rigide leggi ugandesi tramite un approccio di mediazione volto ad evitare lo scontro.

Inoltre un tema che viene sviluppato fin dalle prime pagine all’interno del libro ci ha fatto storcere un po’ il naso, o per meglio dire irritare profondamente, nei confronti dell’edizione italiana. Nakate racconta in apertura un evento piuttosto spiacevole che l’ha vista protagonista e che per lei ha significato molto: in occasione di una conferenza in cui figurava anche tra le relatrici, un’importante testata giornalistica ha pensato bene di scattare una foto delle giovani donne impegnate nel dibattito e poi tagliare Nakate dalla foto prima di pubblicarla. L’hanno, insomma, “cancellata” e questo è un processo che non si estingue in un singolo caso fortuito ma che si è ripetuto e si ripete regolarmente a causa delle sue origini africane. È palese quanto le luci della ribalta nella lotta contro la crisi climatica siano puntate da sempre sulla componente bianca e occidentale. Praticamente tutte le figure conosciute a livello internazionale sono europee o americane e gli attivisti africani sono ignorati o deliberatamente rimossi al punto da sembrare inesistenti per il grande pubblico; sintomatico è il caso di un personaggio fondamentale come Wangari Maathai, biologa keniota e attivista per il clima fin dagli anni Settanta, a cui è stato persino attribuito un premio Nobel per la Pace nel 2004 ma il cui nome in Italia è essenzialmente sconosciuto e i cui libri in traduzione sono al limite dell’introvabile. Nakate, che peraltro cita più volte Maathai nel suo libro, rivendica le proprie origini africane e la posizione chiave del continente nel dibattito, visto che è anche il più colpito. Uno dei suoi messaggi fondamentali è proprio che, se non si fa qualcosa al più presto, tutto il pianeta sarà l’Africa, perché ne subirà la stessa sorte. Curioso allora che nell’edizione italiana, dal sottotitolo originale “My Fight to Bring a New African Voice to the Climate Crisis”, l’aggettivo “africano” sia sparito del tutto… Se Feltrinelli voleva sottolineare un problema globale l’ha involontariamente fatto alla perfezione.

Il focus sul continente africano è invece, a nostro avviso, proprio ciò che dà tanta rilevanza a questo libro. L’Africa sperimenta da anni sulla propria pelle l’effetto di quei “pochi” gradi di innalzamento delle temperature: ormai i disastri ambientali, in cui siccità e alluvioni si alternano regolarmente distruggendo intere regioni, sono la normalità; eppure nei telegiornali e sulle maggiori testate giornalistiche se ne sente parlare ben poco, se non per niente. Non è dunque sorprendente che la popolazione italiana sia così ignorante in materia di e non capisca il fenomeno di emigrazione di massa che porta tanti disperati ad approdare sulle coste italiane coi cosiddetti “barconi”.

Vanessa Nakate è bravissima a spiegare con chiarezza e semplicità quale sia il circolo vizioso che porta a questo dramma internazionale e come questo abbia spesso origine proprio negli stravolgimenti dovuti al cambiamento climatico. Un’area afflitta da ripetuti disastri ambientali scivola inevitabilmente in una crisi agricola nel giro di qualche anno, generando un fenomeno particolarmente grave in nazioni che ancora affidano una grossa fetta della loro economia al settore primario. La crisi agricola genera una crisi alimentare e la lotta per il possesso delle poche risorse rimaste dà origine a violenze private che si inaspriscono fino a diventare guerre civili, da cui la popolazione non può sottrarsi se non attraverso un’emigrazione forzata e, nella stragrande maggioranza dei casi, illegale. Emigrazione che porta con sé, peraltro, un’ennesima crisi, che si spande così in altri Paesi e che minaccia, secondo l’attivista nigeriana Adenike Oladosu citata nel testo della Nakate, di portare perfino al fallimento delle democrazie. Insomma, chiunque legga questo libro non potrà non capire che l’opposizione di una certa fazione politica all’emigrazione e contemporaneamente la negazione o la minimizzazione della crisi climatica sono posizioni inconciliabili.

Vanessa Nakate ha ben chiaro il legame intrinseco e indissolubile tra giustizia sociale, sostenibilità economica e difesa ambientale. Un triangolo di interdipendenze reso ancor più evidente nelle sue drammatiche conseguenze dalla pandemia, ma che in ogni periodo di crisi colpisce in particolare la condizione di vita delle donne. Per questo ha improntato tutto il suo lavoro e le sue iniziative nel sostenere interventi diretti che migliorino le condizioni di vita della popolazione in Uganda nel maggior rispetto possibile dell’ambiente e con lo sforzo costante di associare ad ogni azione progetti di educazione delle nuove generazioni ai problemi dell’ambiente e a come contrastare la crisi climatica. Nakate non ha vinto tutte le sue battaglie: si è dovuta scontrare con muri alzati dai governi e dalla popolazione stessa, che mette quasi sempre il guadagno immediato davanti alla possibilità di un futuro impatto positivo sull’ambiente. Ha visto come i Paesi più potenti del mondo promettono di mettere in campo mille misure preventive e contenitive per poi tradire accordi e aspettative. Per questo crede soprattutto nell’educazione e nei giovani, perché solo un vero cambio di mentalità e una presa di coscienza forte potrà fare pressione a sufficienza su chi gestisce il potere. Il lavoro da fare è lungo ma l’attivista non dispera.

Chiunque sia stato colpito dai grandi cambiamenti climatici che ora percepiamo anche noi italiani con drammaticità dovrebbe leggere questo libro. È un testo chiaro, non molto lungo, ben strutturato e corredato da un ottimo apparato di note oltre a un’estesa bibliografia di riferimento. Chi volesse ampliare il discorso potrà cercare online Vanessa Nakate o qualcuno dei molti attivisti da lei citati in questo libro e familiarizzare maggiormente con le battaglie che continuano a portare avanti. Noi, personalmente, lo consigliamo in particolare agli adolescenti che vogliono avvicinarsi all’attivismo per il clima e agli insegnanti, che con i giovani hanno a che fare quotidianamente e che potranno sfruttare molti dei passaggi di questo libro per creare lezioni ed approfondimenti. Insomma, se ancora non conoscete Vanessa Nakate e volete esplorare il volto della lotta per il clima che va oltre Greta Thunberg, recuperate questo libro e lasciatevi ispirare.

Elena e Manuela

© Riproduzione riservata

Condividi se ti è piaciuto:

Similar Posts