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Agenti climatici sul fronte più in crisi di tutti

Ho combattuto l’emergenza climatica in prima linea, ne sono uscito accaldato e sporco. Nell’arco di un mese ho osservato due fenomeni che affliggono milioni di persone a migliaia di chilometri da noi. Il punto di osservazione è quello di un privilegiato turista occidentale, che transitando innocentemente in un luogo si è trovato coinvolto sul fronte climatico. Il fronte più in crisi di tutti.

Seguono due esempi tangibili di come due elementi primordiali – Aria e Fuoco – possono affliggere e mettere in discussione la presenza della specie umana sul pianeta che ci è stato affidato, o che ci siamo presi in gestione.

Per il Fuoco compete lo Sri Lanka, per l’Aria va in scena l’India. Mancherebbero all’appello Acqua e Terra, chissà che non arrivi anche il loro turno.

Foto di Davide Iori

Sri Lanka – heat wave

Settimana uno.
Il mio contatto sul posto mi aveva avvisato: “Fa caldo”, la percezione è di chi ha appena raggiunto lo Sri Lanka dal frenetico e torpido inverno bolognese. A quel punto, fa davvero molto caldo, umido per giunta. L’aggravante umida porta tutto al grado di caldo-torrido-appiccicaticcio. È una heat wave, un “ondata di calore”, bisogna ammetterlo, in inglese è tutta un’altra cosa.

Settimana due.
Le ondate di calore sono vigliacche. Fanno sì che le persone inizino a diffidare del sole e che addirittura siano felici di accogliere la seguente stagione delle piogge, con tutti i danni che essa di porta dietro. Siamo giunti al punto che se al giorno 9 dovesse fare un temporale, non sarebbe male, ecco. Siamo fortunati, ne fa un paio: si sopravvive. Eppure, palla di fuoco sembra averne ancora, pare non stancarsi e continua a irrigare l’isola con i suoi raggi. In pratica è come se piovesse sempre. Piove calore. Heat.

Settimana tre.
Inizio a vedere gli ombrelli di buon occhio, li capisco. Al giorno 17 hanno una compiutezza e mi sembrano essenziali. Sono molto utilizzati, specie dalle signore. Gli uomini – spesso in motocicletta – indossano il casco. I ragazzi hanno il cappellino. Fa caldo, ma a onore del vero il casco lo indossano tutti dentro questo forno. L’onda di calore continua ad allagare i centri abitati. Penetra nella pelle, scalda ed arriva a scottarla. Il sole sta continuando, ormai da settimane, ad irradiare lo Sri Lanka che rimane inesorabilmente verde. Verdissimo anzi, la terra risponde a palla di fuoco. Cerca di guidare la resistenza, l’irredentismo dei propri cittadini si manifesta nel quotidiano. Pazientemente, tutti combattono per 8 ore al giorno contro il cielo.

Settimana quattro.
Sta diventando difficile, inutili gli appelli dei giornali, le notizie si sciolgono dal caldo. Rimangono pagine di inchiostro che macchiano le coscienze di altri. “Era alle porte” e gli abitanti lo avevano solo sentito nominare fino ad ora, gliene avevano parlato sommariamente, non erano preparati: il global warming è arrivato. Ne accennavano anche in televisione, ma a quel ronzio sullo sfondo non ci si bada, si finisce per ascoltare il rumore del ventilatore. Un ronzio di pale che mettono in fuga le mosche con piccoli vortici di aria stanca.

Gliene stavano parlando proprio gli artefici, dall’altra parte dei teleschermi. Nei loro studi con l’aria condizionata. Facile fare e poi informare. La soluzione non la hanno nemmeno loro, se le sono dovute comprare: tutti quei condizionatori che garantiscono vivibilità nelle loro case e nelle loro macchine da carnefici.

Le televisioni dicono sempre le stesse cose: appelli a non uscire nelle ore più calde del giorno dove il sole picchia di più. Si vive con un coprifuoco praticamente, confinati ad aspettare che il sole se ne vada, che lasci in pace la gente e che la lasci vivere e spostarsi.

Lo Sri Lanka non ha scelto di combattere questa guerra. Se la sta trovando in casa. Gli è capitata, quasi puramente per questioni geografiche. Reo del fatto di stare lì, colpevole di essere presente, nel posto sbagliato. L’isola subisce la furia del sole che pare volere punire la terra ed i suoi esseri viventi, chissà per quali peccati.

Lo Sri Lanka, lasciato solo nella sua beatitudine di isola, fronteggia l’ondata con i mezzi che si ritrova, senza snaturare la sua essenza, e nel mezzo di una crisi che sta affliggendo l’economia del Paese, ha un fronte economico interno oltreché uno climatico esterno. I cittadini lottano per la loro sopravvivenza. Non hanno le macchine né mezzi. Non hanno trincee e nemmeno le case con i condizionatori. Gli isolani non sempre hanno la corrente per i frighi – se hanno dei frighi – figuriamoci gli impianti di condizionamento o quelli solari o fotovoltaici per autoprodursi energia, sarebbe avanguardia, progresso, non glieli hanno proposti forse, o la miopia del governo che ha portato il paese in queste condizioni, ha preferito altri investimenti infrastrutturali, anche essi necessari, ma sempre negli interessi di altri (Link).

I civili non hanno armi, ma devono difendersi dal fuoco. Si muovono a bordo di autobus, gremiti sia nei posti a sedere che in quelli in piedi. Alcuni possiedono le moto ed i tuktuk, “mezzi bellici” adatti a coprire tratte brevi e comunque capaci di trasportare una famiglia di 4 persone oltre che qualsiasi genere di carico merci.

La resistenza passa anche attraverso questo. Vi è difficoltà nel fare spostamenti, prendere un mezzo pubblico vuol dire stare al caldo in mezzo ad altra gente, vuol dire incontrare altra gente, anche essa sudata. Si condividere con loro l’aria, senza condizioni. Solo alcuni spiragli riescono a filtrare dall’esterno sfuggendo ai raggi del sole ed intramezzando il sudore che divampa dentro il bus. Ci si muove furtivi per le strade, saltando di ombra in ombra, ringraziando la terra per averci fornito gli alberi. E poco importa se gli abbatteremo per farci delle case. “Almeno lasciateci l’ombra” sembrano urlano gli sguardi stanchi dei cittadini rimasti a presidiare le strade, ad abitare la Terra.

Settimana cinque.
Superata una certa soglia, diventa insopportabile per tutti, per gli animali, per gli abitanti, per le persone, per i cittadini e pure per i civili. È diventato insostenibile.

Nelle prime due settimane di aprile in Sri Lanka si sono registrate temperature oltre la media stagionale. Fino a qui nulla di strano. Siamo abituati ad accogliere questa notizia con lo stesso disinteresse con cui si seguono i risultati della Formula1 più o meno. È da anni che puntualmente ogni estate si “registrano temperature record” e per anni la soluzione è stata non uscire nelle ore più calde, andare nei supermercati e nei Mall a godere dell’aria condizionata. Soluzione facili ed immediate, breviperiodiste, ma che portano ad ulteriori ondate e ad abbattere nuovi record.

Questi sono gli effetti di quello che per anni ci è stato raccontato con termini come “riscaldamento globale” o “cambiamenti climatici”, adesso che è in atto una “crisi climatica” è il caso di prenderla seriamente e dare importanza alle parole e alle proprie azioni, ne parla Marisa Lizzardi in un suo articolo uscito per la Valigia Blu.

Il fuoco sta bruciando la terra, l’aria, invece ci mantiene con i piedi per terra. Il 30 marzo ero a bordo di un volo diretto a Delhi, sono atterrato a Jaipur, 300 chilometri più a nord. Come il mio volo, altri 21 sono stati deviati nell’arco di meno di un’ora. L’aria non ci ha fatto atterrare, ci ha chiuso la porta.

Agenti climatici sul fronte più in crisi di tutti - inquinamento atmosferico
Foto di Davide Iori

India – inquinamento atmosferico

New Delhi ha l’aeroporto più trafficato dell’Asia (2022). Il nono al mondo dopo per il trasporto di passeggeri (59 milioni nel 2022), il più trafficato d’India per le merci. L’aeroporto Indira Ghandi deve essere all’altezza del Paese più popolato al mondo, e della sua capitale: Delhi, una megalopoli da quasi 33 milioni di abitanti necessita una degna porta di ingresso. L’aeroporto è stato inaugurato ad uso civile nel secondo dopoguerra ed ammodernato prima nell’84 e poi tra il 2006 – 2010, opera su tre terminal, 1100 voli giornalieri e genera posti di lavoro ed indotti per mezzo milione di persone.

Nel 2019 aveva toccato livelli record con 67 milioni di passeggeri transitati, ma è attrezzato per raggiungerli e superarli. Questo vale per l’aeroporto, e di conseguenza per la città: si deve crescere ed i record servono per essere battuti.

Delhi è una città ricca, “nel pieno dello sviluppo” si direbbe. Al tempo stesso trafficata di miseria. Paralizzata nella sua stessa urbanistica; ingolfata di uomini d’affari e funzionari pubblici che mandano avanti il Paese, noncuranti. È una capitale sporca, più di Roma.

Delhi sporca anche nel senso che produce immondizia: solida, liquida, ed anche allo stato gassoso. Ci sono i rifiuti che vengono incendiati a lato della strada, oltre ai gas ed i liquidi generati dalle mucche. Soprattutto, ci sono le persone che sopravvivono per alimentare l’ecosistema di cui sono imprigionate. C’è contaminazione a Delhi, ma non nell’accezione positiva-naif, in senso letterale. Capita qui, come capita in altre parti dell’India. Ed è inevitabile. Un inquinamento necessario per il progredire della nazione. La città si piazza puntualmente sul podio delle città più inquinate al mondo.

Peccato che a livello globale non sia un buon momento per inquinare. A differenza degli altri Stati che lo hanno fatto in precedenza (anche solo di un paio di decenni) i problemi annunciati, ora, stanno bussando alla porta. Ed è impossibile non vederlo, tira un’aria cattiva e probabilmente la porta la butteranno giù, o se la porteranno via in qualche modo. Sono problemi insistenti.

A causa dei livelli di inquinamento eccessivi presenti, le condizioni meteorologiche sopra l’Indira Ghandi sono spesso critiche, in particolare per chi deve atterrare. Capita che la cappa di inquinamento che avvolge la capitale indiana non favorisca il traffico aereo. È una massa informe, un’entità gassosa che veglia su Delhi quasi incessantemente. Di giorno praticamente non permette di vedere il cielo, ma lascia comunque filtrare i raggi solari che allietano e surriscaldano la popolazione. Di notte questo agglomerato fumoso si dirada, ma le stelle rimangono comunque un miraggio, impossibili da vedere. ù

Ogni tanto viene disturbata da dei temporali e a quel punto, gli aerei non riescono nemmeno ad avvicinarsi alla pista di destinazione e vengono quindi dirottati negli aeroporti più vicini con delle piste libere. Questo genera paradossalmente un doppio inquinamento, considerato che dovranno per contratto fare atterrare i loro passeggeri all’Indira Ghandi come stabilito dall’acquisto del titolo di viaggio (il diritto del Turismo è un tema meno affascinante, ma sicuramente meno attuale).

L’ aria inquinata che sovrasta la capitale indiana fa sì che si verifichino dei “respingimenti” aerei, magari brevi, o non così frequenti. Niente di insormontabile, sia chiaro, questione di ore. Succede semplicemente che a volte la porta sia chiusa e che le piste di atterraggio del più grande aeroporto della più grande nazione, siano inagibili. Gli aerei bussano e nessuno può aprire, si aspetta che le “condizioni migliorino”.

Tutti si ritrovano all’improvviso ad attendere pazientemente che l’aria si dissolva: il personale di terra che aspettava l’aereo per iniziare le operazioni e terminare il proprio turno; i membri dell’equipaggio annoiati all’ennesimo dirottamento, i passeggeri spaventati dalle circostanze. Tutti aspettano la rarefazione dell’aria, il verificarsi di un fenomeno. L’ attesa non sempre è paziente, dato che ci si trova dinnanzi ad un inconveniente. Quando capita di essere su quell’aereo deviato, e quindi riprogrammato, si ha la sensazione di aver pescato una carta imprevisti dal mazzo.

Insomma che siate a bordo dell’aereo o a lato della pista, si aspetta assieme che le condizioni migliorino, si condivide una sofferenza, una “disavventura”. Si partecipa collettivamente al presente vivendo un destino comune a tutti noi passeggeri sulla Terra. Si chiude la porta al problema, chiedendo gentilmente di aspettare ancora un po’: ormai siamo arrivati fin qua, poco importa se tutto ciò è diventato insostenibile, bisogna progredire, a qualsiasi costo? Lo pagherà qualcun altro: sarà un costo per l’ambiente. Poco importa se le prossime generazioni avrebbero il diritto di trovarlo integro.

Davide Iori

© Riproduzione riservata

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