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La libreria di passaggio: Exit West

Forse qualcuno potrà pensare, guardando i nostri articoli della libreria di passaggio, che le nostre letture abbiano ben poco a che fare l’una con l’altra. Si passa da un memoir sul femminicidio a un saggio sul cambiamento climatico, dalla storia semi-autobiografica di una persona africana alle prese con la propria identità anche sessuale ad un romanzo sulle migrazioni; eppure nella nostra mente ci sono fili che legano tutti questi libri tra loro, come un percorso, e questi testi si richiamano per tematiche e accenni. In caso non fosse chiaro, il libro sulle migrazioni è quello di cui vogliamo parlarvi oggi.

Exit West di Mohsin Hamid è un romanzo che da quando è stato pubblicato, nel 2017, ha riscosso un notevole successo. Non serve quindi il nostro endorsement a farlo notare al pubblico italiano, che può leggerlo nella traduzione edita da Einaudi e disponibile anche in formato economico. Ciononostante noi a questo libro siamo approdate soltanto adesso, forse per distrazione, forse per colpa della pila sempre troppo alta, e l’entusiasmo che ha generato in noi ci ha spinto a parlarne anche qui.

Mohsin Hamid è uno scrittore pakistano che ha avuto la fortuna di vivere, prima per ragioni di studio e poi di lavoro, in svariati Paesi del mondo. Ha pubblicato diversi romanzi, alcuni dei quali hanno avuto un notevole successo, tra cui forse qualcuno di voi conoscerà Il fondamentalista riluttante. Con Exit West l’autore tocca un tema delicatissimo, quello dei migranti, e lo fa con una delicatezza e una chiarezza d’idee straordinarie.

Protagonisti della storia sono Nadia e Saeed, originari di un non meglio identificato Paese dell’Asia che potrebbe, per caratteristiche, essere il Pakistan o l’Afghanistan, ma anche uno qualsiasi degli stati del Medio Oriente o dell’Asia meridionale. I due giovani si conoscono quasi per caso, si piacciono, iniziano a frequentarsi nonostante le difficoltà poste dal regime religioso altamente restrittivo in vigore nel Paese, e si innamorano. Nel frattempo lavorano e cercano di costruirsi un futuro, chi nel campo assicurativo, chi nel marketing.

Attorno a loro, però, la situazione peggiora fino a precipitare in una vera e propria guerra civile e Nadia e Saeed, messi alle strette e senza più prospettive, sono costretti a cercare di lasciare il proprio Paese per sopravvivere. È qui che il genio creativo di Mohsin Hamid inserisce un elemento fantastico, che potrebbe farci ascrivere il romanzo nel filone del realismo magico: per sfuggire dal loro Paese, così come dalle nazioni in guerra o con situazioni d’emergenza in giro per il mondo, l’unica via alla portata della popolazione sono delle “porte”, veri e propri passaggi che si aprono inaspettatamente dove prima c’erano porte qualsiasi e che portano in altri luoghi a migliaia di chilometri di distanza. L’autore elimina, dunque, il simbolo che abbiamo imparato ad associare all’emigrazione, il barcone, che in fondo potrebbe essere anche il doppiofondo di un camion o il carrello di un aereo, e si concentra invece sul prima e sul dopo: come due persone qualsiasi arrivano alla decisione di migrare, quali passaggi e quali enormi rischi devono affrontare per farlo e cosa trovano una volta arrivati dall’altra parte, destinazione che spesso, alla partenza, è loro ignota.

Leggere questo libro ci ha colpito più di quanto ci aspettassimo. L’abitudine alle immagini di disperazione che la televisione ci somministra quasi quotidianamente ci ha, da una parte, sensibilizzato moltissimo alla questione dei migranti (almeno, dovrebbe aver avuto questo effetto sulle persone che ancora cercano di mantenere viva la propria umanità…) ma ci ha anche anestetizzato un po’ e temevamo di approcciarci a questo romanzo con la sensazione del “già visto, già letto”. Invece, forse proprio grazie all’inaspettato elemento di fantasia inserito alla perfezione nella narrazione, ci siamo sentite ancor più partecipi della drammatica scelta di Nadia e Saeed. Ci si trova a fare il tifo per loro e il loro amore giovane, per un futuro insieme e al sicuro. Non vi diremo se lo otterranno, ma possiamo assicurarvi che, a dispetto della tematica drammatica, questo libro conserva all’interno un nucleo di speranza forte, una sensazione che nonostante tutto il brutto e tutto ciò che di sbagliato c’è al mondo rimanga anche la possibilità di un domani migliore, in cui ricostruire una serenità.

Ci ha anche affascinato molto il modo in cui Mohsin Hamid ha inserito, qua e là nella narrazione, delle scenette che riguardano altri migranti di cui non sappiamo nulla ambientate in diverse parti del mondo, scorci di altre realtà che non sfiorano quella dei protagonisti ma che ne ricalcano i punti salienti: ci sono migranti che fuggono dalla guerra, ma anche persone che devono sottrarsi all’oppressione religiosa o politica, o ancora migranti economici. Non scopriamo mai perché tutte quelle persone sono in fuga dai loro Paesi e spesso non sappiamo nemmeno che fine faranno, tuttavia ricordano a noi Europei, spesso molto egocentrici, che l’emergenza migratoria, come la chiamiamo spesso in Italia, non riguarda solo noi ma tutto il mondo, costantemente e per un miliardo di ragioni differenti.

Certo poi c’è la volontà dell’autore di farci riflettere su come i Paesi di arrivo delle rotte dei migranti reagiscano alla situazione. Se qualcuno, leggendo le parole “fantastico” e “realismo magico” ha stortato il naso, pensando che per questo il libro possa essere meno incisivo e realistico, vi prego di ricredervi: la metafora delle porte è straordinariamente funzionale e lo scrittore la sfrutta alla perfezione.

I protagonisti del romanzo, poi, danno la possibilità all’autore di approfondire altre tematiche interessanti, quali il processo di radicalizzazione che spesso avviene nei migranti dopo aver lasciato il proprio Paese d’origine. Ci teniamo a sottolineare poi il modo in cui il velo integrale è gestito all’interno della narrazione, come Nadia sfrutta il velo, ricordando al lettore che non sempre una donna è velata perché è obbligata o perché glielo impone la propria religione.

Infine vorremmo elogiare ancora una volta il talento narrativo di Mohsin Hamid. Questo libro è piuttosto breve, circa 150 pagine, eppure è ricco di avvenimenti senza che questi risultino affrettati o trattati con superficialità. Lo stile dell’autore è sintetico ma efficace, scorrevolissimo, sorprendentemente poetico e ricco senza mai diventare ampolloso. Ci sono così tante frasi d’impatto in questo libro che, dopo le prime 20 pagine, abbiamo rinunciato a segnarle perché avremmo dovuto sottolineare più di metà del libro. Dal nostro punto di vista una voce narrante perfetta, segnale di un grande scrittore e tradotta magistralmente da Norman Gobetti.

Non ci resta dunque che consigliarvi ancora una volta di recuperare questo romanzo, di riservarvi un paio di serate tranquille per immergervici e leggerlo tutto d’un fiato, lasciandovi portare per mano dall’autore dove non pensavate di andare fino a voltare l’ultima pagina e a restare, come abbiamo fatto noi, con il sorriso sul volto ad assaporare lo strano finale dolce e amaro insieme che questo libro vi regalerà.

Elena e Manuela

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