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Scenari abitativi inediti: la risposta dell’architettura al sovraffollamento urbano delle metropoli

La scarsità di spazi edificabili e il contenimento del consumo di suolo spingono architetti e ingegneri a sperimentare nuove soluzioni dell’abitare, con l’obiettivo di contrastare la grande carenza di alloggi in atto a livello mondiale e di assicurare la sostenibilità abitativa e sociale.

Un articolo di Repubblica del 17 maggio 2018 titolava: “il 66% della popolazione mondiale vivrà nelle grandi città nel 2050: l’allarme Onu”. Questo è il punto di partenza per le successive considerazioni sul sovraffollamento urbano che caratterizza oggigiorno le metropoli.

L’andamento è stato poi confermato anche dal Rapporto delle Nazioni Unite del 14 febbraio 2020: raggiungeremo i 9,7 miliardi di abitanti entro il 2050 e gli 11 miliardi entro la fine del secolo.
Inoltre, la metà dell’aumento della popolazione mondiale si verificherà soprattutto nei seguenti paesi: India, Nigeria, Pakistan, Repubblica democratica del Congo, Etiopia, Tanzania, Indonesia, Egitto e USA.

Sempre più persone vivono in città

Una delle principali cause che hanno portato alla caotica situazione odierna è la diffusione del fenomeno dell’urbanesimo, ovvero, la migrazione verso le grandi città di masse ingenti di popolazione provenienti sia da zone circostanti che lontane. Una tendenza connaturata nello sviluppo delle città e in costante crescita, fino al raggiungimento delle attuali cifre esorbitanti di Tokyo, in Giappone, e Delhi, in India, ospitanti rispettivamente 14 e 29 milioni di abitanti.

Tra le ragioni che spingono le persone a spostarsi vi sono la mancanza di occasioni economiche e sociali, prevalentemente nelle zone rurali e nelle periferie delle città. Tornando ai dati esposti nel rapporto sopra citato, come già detto, fino al 2009 vivevano più persone nelle aree rurali rispetto alle aree urbane, mentre ad oggi, il 55% della popolazione vive in città, con un grado di urbanizzazione che raggiungerà quasi il 70% nel 2050.

Un nuovo modo di costruire e abitare lo spazio

Vista la condizione di sovraffollamento che caratterizza il tempo in cui viviamo, i progettisti devono per necessità porsi delle domande riguardo i nuovi scenari abitativi ed individuare quelle che sono le tipologie dell’abitare più adatte a rispondere ad un aumento demografico così elevato. Sicuramente, esse devono essere il più possibile integrate nel luogo in cui si collocano e mantenere una qualità estetica coerente con il contesto, senza tralasciare quelli che sono i requisiti primari dell’architettura: ergonomia, funzionalità ed estetica.

Degni di nota per la proposta di risoluzione delle problematiche trattate sono i progetti degli architetti danesi Mateusz Mastalsky e Ole Robin Storjohann e dallo studio londinese Alma-Nac.

Il primo, è conosciuto come Living between buildings ed è nato a seguito del concorso internazionale annuale “New vision of the Loft 2 design award”, nel quale è stato chiesto agli architetti di sviluppare delle soluzioni abitative in grado di garantire il risparmio energetico e spaziale. I progettisti hanno proposto di sfruttare gli spazi interstiziali che si collocano tra un edificio e l’altro, luoghi poco sicuri e degradati soprattutto nelle grandi città.

Hanno pensato ad una serie di appartamenti, o meglio, di micro-case, con differenti e particolari forme: la sagoma di una X, la lettera “o”, un albero, e via dicendo. Esse contengono tutte le stanze che caratterizzano un comune appartamento, ma invece che svilupparsi in orizzontale, lo fanno in altezza. È sicuramente una proposta curiosa ed innovativa che permette, oltre al contenimento del consumo di suolo, anche la creazione di spazi urbani più coinvolgenti e all’avanguardia.

Il secondo progetto è la Slim House di Clapham, realizzata a Londra, nel 2013. Questa si sviluppa in altezza e su di un lotto avente una larghezza di soli 2,3 metri. Rispetto all’intervento precedente, la volontà di ridurre il consumo di suolo si certifica con il disegno di una pianta dalle dimensioni molto ridotte.

Infatti, meritevole di attenzione è stata la capacità degli architetti di progettare uno spazio così piccolo rispettando tutte le necessità alle quali una “casa ordinaria” risponde. Il problema principale, generato da una pianta stretta e allungata è l’ingresso della luce naturale nella parte centrale. Questo è stato risolto attraverso la costruzione di un tetto spiovente caratterizzato da molteplici aperture, che consentono di illuminare i vari livelli dell’abitazione.

In entrambi i casi, è opportuno chiedersi quali saranno i risvolti di una progettazione così “insolita”, sia sull’estetica delle città che sulla sostenibilità psicologica di coloro che vi abiteranno. È difficile dare un giudizio a tal proposito, soprattutto per quanto riguarda il progetto Living between buildings, in quanto l’edificio non è ancora stato realizzato e vissuto.

Una nota negativa è sicuramente il fatto che l’occupazione dei pochi spazi vuoti delle grandi città potrebbe comportare delle problematiche relative alla luce e alla circolazione dell’aria e conseguente qualità della stessa, portando così ad un intasamento ulteriore delle città. Invece, il secondo progetto, avendo ricevuto numerosi commenti positivi dalla critica e soprattutto da coloro che ci abitano, rende più facile la formulazione di un parere, che ne testimonia peraltro, la buona riuscita sia dal punto di vista della sostenibilità abitativa che psicologica.

Se la città è, secondo quanto affermato dall’architetto Aldo Rossi nel libro “L’architettura della città”, «la scena fissa delle vicende dell’uomo, carica di sentimenti, di generazioni, di eventi pubblici, tragedie private, di fatti nuovi e antichi», occorre progettare le nostre città rispettando le esigenze della nostra epoca e delle persone, sapendo rispondere all’ingente aumento di popolazione e garantendo parallelamente una sostenibilità abitativa e sociale che ad oggi ancora non c’è.

Eleonora Todeschi

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