Economia e Politica Informatica

L’economia globale ai tempi di Starlink

Il governo cinese ha confermato il progetto di costruire un imponente sistema di satelliti simile a quello dell’azienda americana Starlink per portare la connessione Internet non solo in ogni angolo della Repubblica Popolare, ma nel mondo intero. Il progetto è stato battezzato Guo Wang, letteralmente “network nazionale”, e affidato ad un gruppo di aziende aerospaziali controllate dallo Stato.

Non è la prima volta che Pechino manifesta un interesse nelle infrastrutture globali. Il progetto Guo Wang è, per magnitudine e ambizione, il degno successore della Belt and Road Initiative (BRI), una fitta rete di accordi bilaterali per lo sviluppo infrastrutturale a scopo commerciale, che annovera anche l’Italia fra i più di 150 paesi e organizzazioni internazionali che vi hanno aderito.

Per la Cina, queste iniziative rappresentano certamente un importante veicolo per affermare il proprio status di potenza mondiale in ascesa. A farne le spese sarebbero le potenze occidentali ed in particolare gli Stati Uniti d’America, che per decenni dopo la fine della Guerra Fredda hanno detenuto una salda egemonia politica, economica e culturale nell’arena internazionale.

La BRI, infatti, è stata giudicata foriera di “rischi significativi per gli interessi degli USA nell’ambito politico, economico, del cambiamento climatico, della sicurezza e della salute pubblica” dalla think tank statunitense Council on Foreign Relations. Il progetto Guo Wang andrebbe invece a minare gli interessi di colossi aziendali occidentali come SpaceX, la compagnia americana che possiede Starlink, e compagnie impegnate in progetti simili come Amazon e OneWeb.

Starlink nel mondo “mediato”

Le infrastrutture mediatiche e digitali, come Starlink e progetti simili, ricoprono un ruolo fondamentale in una realtà globale “mediata” come la nostra, dove le principali attività economiche, politiche e culturali dipendono strettamente dal mezzo digitale. La proprietà e la gestione delle infrastrutture mediatiche sono dunque questioni cruciali tanto per la politica interna di un paese, quanto per il suo posizionamento nello scacchiere geopolitico.

Nonostante l’avvento di Internet sembrasse offrire un’alternativa molto più democratica ai canali di comunicazione tradizionali come stampa, radio e televisione, relativamente centralizzati e più controllabili, i governi autoritari hanno mantenuto saldo il proprio controllo, in parte grazie alle cosiddette “tecnologie autoritarie” o di sorveglianza e in parte mediante la gestione delle infrastrutture digitali. Lo stesso governo cinese limita fortemente i flussi di informazione e comunicazione da e verso l’estero grazie ad un complesso sistema di censura digitale noto come Great Firewall of China, in una chiara allusione alla Grande Muraglia. Parte integrante di questo sistema è l’embargo su prodotti digitali occidentali come i social media non cinesi e la stessa Starlink.

Starlink e il nuovo mercantilismo

Da un lato, dunque, il progetto Guo Wang cela innegabilmente un intento mercantilista del governo cinese. In economia politica, si definisce mercantilismo un approccio protezionistico e imperialistico alle politiche commerciali da parte dello Stato, il quale cerca, mediante tariffe commerciali e sostegno statale alle imprese nazionali, di affermarsi come potenza economica sul mercato globale. Il mercantilismo, che fu la dottrina economica dominante dell’età moderna, venne poi accantonato con l’ascesa del liberismo, fondato sulla libera circolazione delle merci e sul minor coinvolgimento dello Stato nell’economia.

D’altro canto, però, le attività delle multinazionali digitali acquartierate in Occidente non sono certo scevre da interessi sottesi. Anche accantonando l’importanza degli investimenti delle multinazionali all’estero per i paesi che li ricevono, la stessa idea di queste compagnie, come alfiere di democrazia e libertà che gli stessi CEO si impegnano a promuovere, si può considerare veicolo dell’egemonia occidentale.

Elon Musk, l’imprenditore-influencer che possiede SpaceX e Starlink, è stato forse il più abile tra le figure di spicco nel settore Big Tech a costruirsi un brand personale di pioniere del futuro, operando in settori chiave dell’economia globale: dall’esplorazione spaziale, ai veicoli elettrici, fino al dibattito digitale tramite la recente acquisizione di Twitter e, naturalmente, le infrastrutture digitali.

Più di ogni altra impresa di Musk, Starlink presenta un carattere di filantropia imprenditoriale. All’indomani dello scoppio della guerra russo-ucraina, Musk ha accelerato l’implementazione di Starlink su richiesta del governo Kiev, permettendo di mantenere la connessione Internet nel paese. Più recentemente, Musk ha approfittato del down della rete Tim che ha colpito l’Italia nei giorni scorsi per annunciare tramite un post su Twitter, il social da lui gestito, che la rete Starlink è disponibile nel Belpaese.

Eppure, se temiamo il potenziale delle infrastrutture cinesi in termini di controllo e sorveglianza, la prospettiva di affidare infrastrutture cruciali ad un ente privato come SpaceX dovrebbe ispirarci un simile grado di cautela. Come ha giustamente notato la giornalista del Financial Times Gillian Tett, il buon funzionamento di Starlink dipende anche dalle inclinazioni di Musk stesso. È recente, infatti, la notizia che SpaceX intende proibire al governo di Kiev di usare Starlink a scopi militari, forse per non compromettere la propria posizione nei confronti della Russia.

Basta pensare a quanto la connessione ad Internet sia fondamentale alla nostra quotidianità per capire che la gestione delle infrastrutture digitali potrebbe diventare oggetto di contesa, se non addirittura conflitto, tra i grandi attori dell’economia globale. In un simile quadro, appare concreto il pericolo della dipendenza digitale, sia essa da regimi autoritari o aziende private orientate al profitto. Come cittadini e utenti, abbiamo il dovere di informarci su chi possiede le nostre infrastrutture e, possibilmente, cercare dei modelli di gestione meno centralizzati.

Francesca Di Fazio

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