Economia e Politica Italia

Referendum giustizia: le implicazioni di una questione complessa

Il 12 giugno tutti i cittadini italiani saranno chiamati alle urne per esprimere il proprio voto su ben cinque quesiti referendari, aventi ad oggetto temi legati alla giustizia. Vi ineriscono importanti questioni e, malgrado ciò, di questo referendum si parla pochissimo. 

Forse l’attenzione si alzerà nei giorni precedenti al voto e quindi basterà, a tempo debito, spulciare qualche giornale o fare qualche ricerca online per recarsi preparati e con le idee chiare alle urne. 

Eppure – secondo l’opinione di chi scrive – ciò non accadrà così facilmente, perché i quesiti non sono di immediata comprensione: da un lato per il carattere tecnico degli argomenti trattati, dall’altro per la delicatezza degli assetti che si andrebbero a mutare. 

Così, si potrebbe qui affrontare una spiegazione dei quesiti, ma, considerato che c’è chi già lo ha fatto con precisione, si ritiene più opportuno cercare di entrare nel merito delle questioni toccate dal referendum, per approfondirne i significati e le implicazioni.

Elezione dei magistrati al Consiglio Superiore della Magistratura (CSM). L’obiettivo perseguito dai promotori è quello di svincolare i magistrati dal potere delle correnti interne alla magistratura attraverso l’abrogazione dell’obbligo, per un magistrato intenzionato a far parte del CSM, di raccogliere tra le 25 e le 50 firme di altri magistrati a sostegno della propria candidatura. 

Le correnti sono associazioni di magistrati che vanno a comporre l’Associazione Nazionale Magistrati (ANM), la quale riunisce al proprio interno il 96% dei magistrati italiani ed affonda le proprie radici agli inizi del ventesimo secolo (per una storia breve, qui, per una più lunga qui). 

Esse riflettono le varie posizioni ideologiche e di pensiero all’interno dell’ANM, ma c’è chi sostiene che abbiano in realtà una natura politica e che aumentino il rischio di influenza del potere politico sulla magistratura stessa, la quale dovrebbe esserne del tutto indipendente e svincolata. 

Elidere il potere delle correnti è quindi, per chi sostiene tali tesi, un modo per svincolare la magistratura dalla politica e ciò, almeno per i promotori del referendum, potrebbe passare anche dall’eliminazione del summenzionato obbligo di raccolta firme. Che poi questo possa avvenire concretamente con questa piccola modifica sembra difficile, nonostante l’altisonante titolo dato al quesito dai promotori, “riforma del CSM”.

Valutazione dei magistrati. Il relativo quesito ha come obiettivo quello di permettere anche ai membri non togati dei consigli giudiziari di partecipare alle decisioni inerenti le valutazioni dei magistrati. 

I consigli giudiziari sono degli organi ausiliari del CSM, costituiti presso ciascuna Corte d’appello, composti da magistrati (membri togati) e avvocati e professori universitari in materie giuridiche (membri laici). La loro funzione è quella di esprimere pareri motivati non vincolanti circa le materie di cui è competente il CSM stesso. 

Tuttavia, i membri laici sono esclusi (art. 16 d. lgs. 25/2006) da alcune funzioni dei consigli giudiziari, tra le quali spicca quella di operare la valutazione di professionalità dei magistrati. Ciò rappresenterebbe un problema in quanto vi sarebbe una sovrapposizione tra giudicanti e giudicati, appartenenti infatti entrambi allo stesso corpo, quello della magistratura. 

D’altra parte potrebbe dirsi che l’apertura della valutazione ai membri laici potrebbe portare a un’esasperazione del conflitto tra magistratura e avvocatura in una sede non consona a ciò. Pare comunque una questione fin troppo delicata per essere oggetto di referendum, poiché solo chi personalmente vive quegli ambienti ne conosce il relativo equilibrio.

Separazione delle carriere dei magistrati. Scopo di tale quesito è eliminare la possibilità dei magistrati di passare dalla funzione requirente a quella giudicante o viceversa: la scelta fatta a inizio carriera in un senso o nell’altro diverrebbe quindi vincolante per sempre. 

Le tesi a favore della separazione delle carriere si sostengono sulla base dei seguenti argomenti: in primo luogo garantire la terzietà e imparzialità del giudice attraverso l’elisione dello spirito corporativo che dovrebbe prodursi; quindi creare un antagonismo tra poteri che garantirebbe un maggior equilibrio democratico; infine fare sì che i magistrati si specializzino sempre più nell’ambito della funzione esercitata, che richiede attitudini differenti dall’altra. 

Le tesi contrarie fanno invece leva su considerazioni di altro tipo: innanzitutto sul fatto che l’isolamento dei magistrati requirenti dal resto della magistratura ne aumenterebbe la distanza, rischiando così che essi siano attratti nell’orbita del potere esecutivo e in secondo luogo sul fatto che il passaggio tra le funzioni permetterebbe di arricchire notevolmente il bagaglio di conoscenze ed esperienze di ciascun magistrato. 

Anche in questo caso, la questione pare essere estremamente delicata e forse la soluzione sarebbe trovare un giusto equilibrio: per esempio, limitare il numero massimo dei passaggi, vincolare la scelta per un certo numero di anni, ecc.

Misure Cautelari. Il fine del relativo quesito referendario sarebbe quello di eliminare la custodia cautelare in carcere per gli accusati di reati minori in caso di possibile reiterazione del reato. 

Secondo i sostenitori del sì, tale possibilità sarebbe fonte di vero e proprio abuso, consistente nella carcerazione preventiva di un elevato numero di persone che risultano invece essere innocenti all’esito del procedimento penale. 

Tuttavia, il quesito ha un’impronta decisamente più ampia: come se per recidere un ramo malato si tagliasse un’intera pianta. Le misure cautelari possono essere disposte infatti solo in presenza di gravi indizi di colpevolezza (art. 273 del codice di procedura penale – c.p.p.) e in presenza di almeno una delle tre esigenze cautelari richieste dall’art. 274 del c.p.p.: concreto e attuale pericolo per l’acquisizione o genuinità della prova; fuga dell’imputato o concreto e attuale pericolo di fuga; concreto e attuale pericolo che l’imputato commetta gravi delitti con uso di armi o altri mezzi di violenza personale, contro l’ordine costituzionale, di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede. 

Il quesito referendario andrebbe quindi a restringere l’area di quest’ultima esigenza cautelare e ciò non inciderebbe solo sulla custodia cautelare in carcere, ma su tutte le misure cautelari personali, come ad esempio il divieto di espatrio, il divieto/obbligo di dimora, l’allontanamento dalla casa familiare, ecc., restringendo forse fin troppo il campo di applicazione della norma e impedendo che possa raggiungere lo scopo per cui è prevista. 

Per quanto riguarda questo cambiamento, va sottolineato un aspetto trattato in maniera marginale, ma con dei risvolti potenzialmente importanti. Portato alle estreme conseguenze, potrebbe infatti eliminare la custodia cautelare per delitti vicini alla politica, come il finanziamento illecito ai partiti. 

Abolizione del decreto Severino. L’ultimo quesito riguarda d. lgs. 235/2012, che prevede l’incandidabilità e la decadenza automatica rispetto a cariche parlamentari, regionali e comunali in caso di condanna per determinati reati. 

Scopo dei promotori del referendum ne è l’abrogazione integrale, voluta principalmente per far decadere l’automatismo di tali misure e lasciarle nella discrezionalità del giudice che commina la sentenza di condanna. 

Tale decreto legislativo, soprannominato “Severino” per l’allora Ministro della giustizia Paola Severino, s’inserisce nel più ampio quadro della legge 190/2012, volta al contrasto della corruzione, tema che in Italia merita sempre un’attenzione particolare. 

Probabilmente il vero punto focale della questione riguarda la sospensione dalla carica nel caso di condanna non definitiva, che può durare fino a 18 mesi, e che colpirebbe un soggetto che nel grado successivo potrebbe risultare del tutto innocente. Tuttavia, anche per questo quesito, non si vede come sia necessario abrogare l’intera normativa per risolverne un problema collaterale.

Il referendum è uno strumento delicato pensato per coinvolgere i cittadini su questioni di natura etica, che smuovano i sentimenti e i valori delle persone. Quello sulla giustizia presenta invece delle questioni di elevata complessità tecnica, che dovrebbero essere affrontate dal legislatore, più che dal corpo elettorale: arriveremo con le idee chiare alle urne?

Filippo Frisinghelli

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