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Ricordare. Sì, ma quando?

Oggi dedichiamo ampio spazio a importanti questioni che caratterizzano la nostra società e commemoriamo svariati eventi che hanno segnato la storia, al fine di provare a costruire una memoria collettiva che possa indirizzare verso un futuro che non dimentica, ma impara da passato e presente. 

Alcune giornate vengono istituite da Organi internazionali come l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite o da Agenzie specializzate quali Unesco, Fao, Unicef, con l’obiettivo di consapevolizzare i cittadini di tutto il mondo riguardo a tematiche che rientrano nel settore di loro competenza. Ci sono poi istituzioni pubbliche e private che possono proporre e fissare ricorrenze che diventano un vero e proprio trampolino di lancio per azioni di sensibilizzazione.

Frequentemente si decide di ricordare avvenimenti che hanno segnato intere Nazioni, altre volte principi e ideali, altre ancora semplici usanze, che trovano legittimazione negli ordinamenti in cui si inseriscono, per ragioni storiografiche o culturali. Talvolta, invece, ci si scorda di contestualizzare, rischiando di celebrare un evento senza essere realmente consapevoli di cosa si stia rammentando. 

Un esempio che riguarda l’Italia potrebbe essere la decisione del Parlamento di celebrare il 26 gennaio la Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini, con la quale si intende commemorare: ù

“l’eroismo dimostrato dal Corpo d’armata alpino nella battaglia di Nikolajewka durante la seconda guerra mondiale, nonché di promuovere i valori della difesa della sovranità e dell’interesse nazionale nonché dell’etica della partecipazione civile, della solidarietà e del volontariato, che gli alpini incarnano.

Probabilmente, se non decidessimo di scavare a fondo riguardo all’evento che viene preso in causa, non sorgerebbe alcun problema. Ma a Nikolajewka, nel gennaio del 1943, gli Alpini, parte del Regio esercito italiano, combattevano fianco a fianco con la Germania nazista in una vera e propria guerra di aggressione, iniziata nel 1941 con  l’invasione del territorio sovietico. 

Infatti, all’Armata italiana in Russia appartenevano anche tante Penne nere che divennero parte attiva di un più grande piano bellico e di pulizia etnica, il Generalplan Ost che prevedeva l’eliminazione delle popolazioni ebree e slave dai territori conquistati e la loro germanizzazione, funzionale alla creazione del Lebensraum, lo spazio vitale

In una guerra di logoramento, i cui esiti vennero sopravvalutati dall’Asse e nel cui contesto si iniziò ad attuare la soluzione finale, la battaglia di Nikolajewka costituì l’unica vittoria significativa di un’operazione fallimentare che determinò la ritirata delle truppe italiane. 

Ma, come racconta Thomas Schlemmer, nel libro Invasori, non vittime dedicato alla campagna di Russia, questa guerra negli anni è stata trasformata in un’esemplare epopea eroica dei nostri soldati, vittime di una guerra spietata. 

La retorica del sacrificio avvolge e rende opaco un dato storico: le nostre divisioni fecero parte di un esercito d’invasione e i soldati italiani si resero protagonisti di cruenti episodi bellici. Ma il racconto distorto, eroico, quasi mitologico degli avvenimenti plasma le nostre menti a tal punto da farci intravedere qualcosa di valoriale da glorificare.

E se viviamo in uno Stato in cui si è deciso di coltivare la memoria anche attraverso il ricordo dello sterminio, delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti, risulta assai controversa la scelta del legislatore di onorare la difesa della sovranità, dell’interesse nazionale e l’etica della partecipazione civile rievocando un episodio bellico che potrebbe essere magnificato solo se spogliato del suo contesto storico. 

Viene spontaneo chiedersi per quale motivo non sia stata indicata un’altra data. È risaputo come gli Alpini abbiano contribuito alla lotta per la Liberazione dell’Italia centro-settentrionale: si sarebbero potuti prendere in considerazione diversi episodi in cui le Penne nere hanno combattuto tra gli schieramenti partigiani contro gli invasori tedeschi e le forze della Repubblica di Salò.

La decisione presa dai nostri parlamentari dovrebbe farci riflettere sul concetto di memoria storica collettiva che, forse, necessita ancora di parecchio lavoro per poter essere costruita: di studio, di consapevolezza, di tanti distinguo, di contestualizzazione. 

Il sacrificarsi per la propria divisa merita sempre, aldilà di qualsiasi circostanza, di essere celebrato? O sarebbe il caso di approfondire un dibattito certamente più complesso e sfaccettato? 

Sacrificarsi perché mandato a combattere, consapevole o meno di essere parte di un disegno maggiore che prevede l’invasione o lo sterminio di intere popolazioni, equivale al sacrificarsi per la propria libertà, per quella di una Nazione, per ideali democratici e liberali, per la Liberazione da un oppressore? 

Visti i tempi che corrono, dovremmo iniziare a porci questi quesiti. 

Assia Zoller

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