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Stiamo vivendo una vera e propria pandemia di obesità

Secondo l’OMS “l’obesità è definita come un eccessivo accumulo di grasso corporeo in relazione alla massa magra, in termini sia di quantità assoluta, sia di distribuzione in punti precisi del corpo”. 

Quindi, per obesità si intende sia l’intera massa adiposa di un corpo, sia l’accumulo di grasso in specifiche aree che risultano più fragili; parliamo in questo caso di obesità viscerale. 

In estrema sintesi, il danno provocato da questo accumulo è dovuto principalmente a due meccanismi: il primo riguarda l’aumento del peso con conseguente sovraccarico del sistema osteoarticolare; in secondo luogo bisogna considerare che il tessuto adiposo è in grado di secernere determinate molecole che causano uno stato infiammatorio cronico.

L’origine su larga scala dell’obesità ha tra le sue cause una forte componente ambientale. Tendenzialmente, chi mangia oltre le sue necessità, ingrassa; ed è forse proprio questa l’origine dello stigma sociale che segna il soggetto obeso nel mondo d’oggi. 

Quante volte, di fronte ad un soggetto sovrappeso, abbiamo sentito il classico commento “basterebbe mangiasse un po’ di meno”, “se solo facesse un po’ di sport”. Ma siamo davvero sicuri che sia così semplice? Non è così, altrimenti non si spiegherebbero tanti fallimenti terapeutici, dai più conservativi (dieta) ai più radicali (chirurgia bariatrica).

In merito all’obesità la medicina parla infatti di eziologia multifattoriale, ciò significa che la malattia è data dalla compresenza di cause ambientali (l’eccesso di cibo) e cause genetiche. Sono infatti ormai molti gli studi che hanno dimostrato una predisposizione genetica innata all’accumulo di adipe e al conseguente sviluppo della malattia. 

E malattia, non è un termine usato a caso, l’obesità è una malattia in sé e per sé che, come altre malattie, è associata ad un rischio maggiore di morbilità (sviluppo di altre patologie) e mortalità, basti pensare all’aumento delle problematiche cardiovascolari. 

Oltre a fornire un nuovo punto di riflessione sul campo clinico, questa predisposizione genetica all’accumulo di grasso è un punto di svolta molto importante per iniziare a de-stigmatizzare l’obesità nella nostra società. Ancora oggi, se ci si ferma a riflettere, questa malattia non viene trattata come tale, ma più come un’incapacità nel controllare i propri impulsi. Fin da piccoli cresciamo con questa predisposizione a trattare l’obesità semplicemente come un problema dei “golosi”.

La diffusione di questa malattia ha avuto nel tempo un repentino cambio di passo, tanto che oggi nei paesi sviluppati è più probabile morire per l’eccesso di cibo che per la sua mancanza. Prima della rivoluzione industriale, si combatteva quotidianamente con malattie, lavori estenuanti, scarsità di risorse materiali e alimentari. 

La popolazione povera soffriva di scarsa o mala nutrizione. Quando però nel XIX secolo ci si rese conto che la malnutrizione risultava essere una delle principali cause di scarsa produttività, si pensò di risolvere il problema a beneficio del progresso economico. 

Per tale scopo servivano alimenti al contempo calorici ed economici, la scelta ricadde quindi su una dieta ricca di grassi e zuccheri, che portarono progressivamente ad un aumento del peso corporeo medio. Facile quindi intuire come l’aver risolto il problema della scarsità di cibo con un’alimentazione scorretta, abbia generato a lungo termine il problema opposto. Questo può essere visto come il punto di inizio della pandemia di  obesità che viviamo oggi.

Analizzando gli studi epidemiologici, si nota come nel periodo tra il 1975 e il 2016, il tasso di obesità tra i maggiorenni europei sia aumentato del 161%, aumento che ricalca l’andamento mondiale. Si pensi agli USA, da decenni alle prese con livelli altissimi di incidenza di questa malattia. 

Nel 2013 in Italia è nato il progetto PASSI, grazie al quale è possibile monitorare la salute pubblica a 360 gradi, trovare i punti di debolezza ed agire per migliorare e prevenire. I dati più recenti, 2017-2020, fanno emergere  che in Italia l’11% dei soggetti tra i 18-69 anni soffrono di obesità, e che il 10% dei bambini delle elementari sono obesi, portando l’Italia ad essere uno dei paesi più malati di obesità in Europa.

Ma come mai si è passati da un mondo dove si moriva di fame ad uno dove si muore per l’eccesso di cibo? Ebbene non esiste una sola causa, ma è meglio parlare di concause: aumento del lavoro sedentario, trascuratezza nella dieta quotidiana, riduzione dell’attività sportiva e simili. Interessante anche notare la correlazione direttamente proporzionale tra sviluppo tecnologico e obesità, soprattutto tra i più piccoli. 

La diffusione di questa situazione patologica è infatti preoccupante anche in età pediatrica: i bambini si muovono sempre meno, trascorrendo fino a sei ore al giorno di fronte allo schermo. E i bambini sovrappeso, a causa di una diversa risposta dell’organismo all’aumento di peso, saranno più predisposti ad un facile aumento ponderale anche in età adulta rispetto ai loro coetanei sani.

Dopo aver accennato alle concause della pandemia di obesità che ci troviamo a vivere, è bene evidenziare le più tangibili conseguenze che questa malattia genera nel nostro presente.

Principalmente, si possono individuare tre ambiti che subiscono delle conseguenze causate dalla pandemia in oggetto. Innanzitutto, dal punto di vista medico, aumenta il  rischio di incidenza di morbilità e mortalità. Questo comporta sicuramente un notevole appesantimento del Sistema Sanitario Nazionale, che si trova a dover gestire un alto numero di malati ma con degli strumenti assistenziali che non sono alla portata della situazione. 

In secondo luogo, si tratta di una patologia con grandi ricadute in ambito sociale: il malato si trova spesso ad affrontare la sua condizione in un ambiente ostile, non riuscendo a trovare molto spesso un supporto psicologico che di sicuro gioverebbe. Per di più l’obeso molto spesso non riesce ad avere una vita lavorativa, il che comporta l’insorgenza di uno stato di inadeguatezza che può sfogare in una depressione, a sua volta di ostacolo al processo di guarigione. Insomma, lo stigma sociale di cui il malato risente genera un circolo vizioso da cui è difficile uscire: alla sofferenza personale si aggiunge quindi l’insofferenza sociale. 

In ultima analisi va considerato l’impatto ambientale di una malattia che nasce anche – non sempre – dal consumo eccessivo di risorse alimentari. Negli ultimi anni, infatti, oltre all’incremento della popolazione, è aumentato anche il consumo calorico medio pro capite. È facilmente intuibile come non sia ecologicamente sostenibile una richiesta sempre maggiore di risorse. 

Essendo quindi l’obesità una malattia con ricadute su larga scala, che esulano la stretta ricaduta in ambito sanitario, risulta immediatamente chiara la necessità di agire. Il miglior modo per poter contrastare la crescita del fenomeno è sicuramente la prevenzione primaria, ovvero agire per evitare che il fenomeno si verifichi, sgravando così il Sistema Sanitario Nazionale, migliorando la qualità della vita di una larga fetta di popolazione, riducendo la richiesta di risorse e cambiando la mentalità comune. 

Ovviamente la prevenzione deve essere strutturata e capillare, distribuita su larga scala e accessibile, così da coinvolgere il più ampio range possibile di popolazione, soprattutto nelle fasce culturalmente ed economicamente sofferenti. Se infatti puntassimo su un’educazione alimentare efficace fin dall’infanzia, si riuscirebbe ad impostare un sano e corretto stile di vita anche per l’età adulta. 

Ci sono diversi progetti nel mondo che si prefiggono questo obiettivo. Anche a livello regionale, in Trentino, è stato attivato nel 2017 un progetto finalizzato sia ad uno stile di vita più sano, sia al rispetto dell’ambiente tramite produzione locale rispettosa dell’ambiente.

Il primo passo per sconfiggere l’obesità resta però accettarla come malattia e trattarla come tale. 

Giovanni Paissan

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