Economia e Politica Esteri

Bosnia-Erzegovina. Brevi aggiornamenti – Parte II

 

Se nella prima sezione di questo articolo si è trattato in linea generale delle prospettive europee della Bosnia-Erzegovina, nel presente segmento si discuterà del quadro politico in cui queste oggi si collocano.

Il 3 ottobre 2022 si è votato per eleggere i membri della Presidenza tripartita, nonché per tutti i corpi democratici al livello nazionale, federale e cantonale. Secondo gli osservatori internazionali le elezioni in Bosnia sono state ben organizzate e competitive. Nonostante le libertà fondamentali siano state rispettate nel corso della campagna elettorale, la mancanza di sforzi riformatori e di fiducia nelle istituzioni, contornati da retoriche etnicamente divisive, continuano ad inquinare l’atmosfera in cui si svolgono le votazioni. 

In breve, la Bosnia-Erzegovina è dotata di una Presidenza tripartita, formata da membri appartenenti ai tre diversi gruppi etnici, ed un parlamento bicamerale. All’interno del paese sono presenti due Entità: la Republika Srpska (abitata perlopiù da cittadini serbo-bosniaci) e la Federazione di Bosnia Erzegovina (popolata da croati cattolici e bosniaci di fede musulmana), ciascuna dotata di proprie strutture amministrative. Le Entità si dividono a loro volta in cantoni, i quali dispongono anch’essi di organi elettivi. 

A livello nazionale si è votato per scegliere i tre Presidenti e la Camera dei Rappresentanti. Specifichiamo che esiste un’altra Camera, i cui membri non sono eletti dai cittadini, ma nominati dai membri dei parlamenti delle due Entità. I seggi della Camera dei Rappresentanti sono anch’essi divisi tra le due Entità. In questo senso, 28 membri vengono eletti dai cittadini della Federazione di BiH ed i restanti 14 dagli abitanti della Republika Srpska. Per valutare la composizione della Camera dobbiamo dunque analizzare separatamente le due Entità. 

Nella Federazione di Bosnia-Erzegovina i principali partiti sulla scena sono tre: SDA, HDZ e SDP. Lo SDA, o Partito di Azione Democratica, è il principale partito bosniaco-musulmano, nazionalista, conservatore e orientato alla tutela della fede religiosa islamica. L’HDZ, o Unione Democratica Croata di Bosnia ed Erzegovina, è il principale partito croato-bosniaco, nazionalista e dichiaratamente cristiano. Da non confondere con l’HDZ croato, con sede a Zagabria e seggi nel Parlamento Europeo. Infine, l’SDP è il partito social-democratico, che promuove il secolarismo e si presenta come “multietnico”. 

In Republika Srpska gode di ampio consenso il SNDS (Alleanza dei Socialdemocratici Indipendenti), che nasce in realtà dalla coalizione di cinque formazioni politiche. Ad oggi è il maggior partito della Repubblica, che mischia socialdemocrazia e nazionalismo serbo, dichiarandosi euroscettico e – ahimè, di questi tempi – filorusso attraverso le dichiarazioni del suo noto leader, Milorad Dodik. Il SDS è invece il partito democratico serbo, connotato da una forte componente nazionalista, come suggerisce il logo colorato di bianco, rosso e blu. Il partito nel 1990 era presieduto da Radovan Karadzic, condannato in tempi non sospetti per i più vari crimini internazionali. Nonostante sia evidente dove affondi le proprie radici, il partito ad oggi si è spostato su posizioni più moderate. Infine, vi è il PDP, o Partito del Progresso Democratico, che mischia nazionalismo serbo, liberalismo economico e filoeuropeismo. 

Data la complessità del sistema elettorale bosniaco, scegliamo di focalizzarci sui risultati delle votazioni per la Presidenza tripartita. 

Per quanto riguarda il rappresentante bosgnacco, è da segnalare la sconfitta dell’uscente Bakir Izetbergović esponente del nazionalismo bosgnacco. Al suo posto, il social-democratico Denis Becirović dell’SDP. Sul fronte croato, Komšić è stato riconfermato. Non apprezzato da tutti, da sempre ha dichiarato di voler essere “presidente di tutti i bosniaci” senza distinzione di appartenenza. Cambia invece il membro serbo della presidenza, ma resta immutato il partito. Zeljka Cvijanović – nazionalista dell’SNDS – ha preso il posto dell’uscente Milorad Dodik, che ha invece corso e vinto – non senza polemiche – per la presidenza della Republika Srpska. 

I risultati delle elezioni indicano timidamente una via – per nulla scontata – che si allontana dalla partizione etnica strutturale imposta dagli Accordi di Dayton che tuttavia rimangono attualmente, per quanto disfunzionali e miopi, l’unica ancora di stabilità nel paese. La componente etnica gioca un ruolo prevalente nella vita politica del paese, e i segnali degli attori internazionali non sono per nulla chiari. Da un canto l’Unione Europea chiede l’implementazione di varie misure per decostruire la partizione etnica. D’altro canto, l’Alto Rappresentante in Bosnia (un organo internazionale con poteri legislativi molto pervasivi) ha recentemente imposto una riforma elettorale, incidente sulla costituzione del paese, che sembra andare nella direzione contraria, suscitando le critiche di Bruxelles. 

Rimane dunque molto complesso il quadro costituzionale e politico in cui si dovranno muovere i nuovi eletti. Questi, per assecondare la chiara volontà dei cittadini bosniaci di entrare nell’UE, saranno chiamati a confrontarsi con le richieste della Commissione Europea: riformare la giustizia, contrastare la corruzione, promuovere una coordinazione effettiva tra tutti gli enti che si occupano di gestire il flusso migratorio, criminalizzare la tortura, garantire la libertà di espressione e dei media e, infine, sviluppare un programma nazionale per implementare l’acquis comunitario. 

Continuiamo a raccontarci e a raccontare che il futuro della Bosnia-Erzegovina è nell’UE, ma ci crediamo davvero? La comunità internazionale, Unione Europea in primis, troppo spesso dà segnali confusi e timidi. Vedremo come la complessa macchina istituzionale bosniaca reagirà a questo nuovo input. Nel frattempo, è giusto ricordare come sia stata necessaria una guerra alle porte d’Europa per risvegliare l’interesse sopito verso le aspettative europee dei vicini sud-orientali. 

Leonardo Torelli

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