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Il futuro è solo castelli in aria – Lo scenario futuro come strumento progettuale

Non pensare ad un elefante rosa.

Un classico. Forse il più famoso degli esempi per introdurre alle tecniche di comunicazione; ci dimostra come per far pensare qualcosa al nostro interlocutore, basti parlarne. Io oggi voglio parlare di futuro, dell’importanza di parlare di futuro. 

Lo strumento che ci permette di costruire narrazioni visive evocative di un avvenire ancora incompiuto si chiama scenario futuro. Il termine si usa in pubblicazioni di ogni genere e argomento, dall’andamento epidemiologico alle diverse prospettive correlate all’aumento delle temperature. Gli scenari futuri sono modelli di come potrebbe apparire la realtà a seconda dell’atteggiamento che decidiamo di adottare. Ne avrai certamente sentito parlare quando le amministrazioni propongono dei confronti tra diverse modalità in cui potrebbe apparire la nostra città nel 2030, o addirittura oltre. Un possibile avvenire si configura se continuiamo imperterriti nel nostro agire, il cosiddetto scenario business as usual. Ben differente è quello che ci aspetta se, a partire da ora, mettessimo in pratica programmi di mitigazione e prevenzione degli effetti dei cambiamenti climatici. 

Nelle discipline legate alla pianificazione, specialmente nella fase di dibattito pubblico, per coinvolgere la cittadinanza nel processo decisionale, si lavora con le immagini. In esse risiede il potenziale creativo e di innovazione, la possibilità di introdurre nuovi significati. Per aiutare anche il pubblico più inesperto a spostare il pensiero più avanti nel tempo, riuscire a visualizzare le proposte ed esprimere una preferenza sulle sorti del progetto, si costruiscono dei collage. Attraverso questa tecnica di rappresentazione, la realtà è ricostruita, per via analogica o digitale, aggiungendo nuovi dettagli all’esistente. Sono ritagli di elementi attuali in accostamenti mai visti, ibridazioni tra tradizione e invenzioni. Maestro assoluto nel creare mondi fantascientifici è il cinema, capace di catapultarci in epoche venture, che, con il passare del tempo, abbiamo visto in taluni casi avverarsi. Da Metropoli a Blade Runner, fino a Black Mirror, le scene di questi film sono ormai diventate iconiche.

Ma a che serve creare immaginari futuribili?

In tempi di crisi, dove una direzione comune sembra mancare, si fanno spazio riflessioni utopiche  in discontinuità con il nostro modo di vivere e vedere il mondo. Al contrario di come si pensa, a questo genere non appartengono soltanto racconti fondati su un’idea di un “altrove” migliore, idealizzato ed irraggiungibile. Dallo studio approfondito del contesto attuale si possono costruire delle visioni basate su fatti, tendenze e implicazioni. Il procedimento, per una proiezione realistica, consiste nell’individuare i fenomeni ricorrenti, osservarne il funzionamento e la logica intrinseca. I segnali di cambiamento in atto oggi in un determinato luogo potrebbero dimostrarsi sempre più importanti. Ascoltare gli abitanti è altrettanto importante per leggere la storia e avvicinarci alla comprensione dell’identità del posto. Successivamente all’analisi dell’area di cui vogliamo pianificare lo sviluppo, si definiscono dei “pacchetti di strategie” in cui la città potrebbe investire, tracciando per ognuno il suo decorso nel tempo.  

E’ importante sottolineare che ciò non determina premonizioni visionarie, né tantomeno prognosi scientifiche. Lo scenario futuro è un’ipotesi provocatoria e, in quanto tale, potrà verificarsi. Tuttavia, c’è margine di trasformazione. E’ importante conoscere il significato dei termini, affinché essi diventino strumenti per comprendere la realtà e perché no, cambiarla. 

Proporre un cambio di rotta è la sfida della nostra generazione, che si appresta a fronteggiare l’emergenza climatica. “Per progettare una città a prova di crisi, dobbiamo smetterla di pensare che esista una sola alternativa possibile ed iniziare ad osservare le tante città che i nostri comportamenti stanno già costruendo”. Con queste parole il progetto Città dal futuro ci apre le porte della sua piattaforma, lo strumento più utile ed intuitivo per approcciarsi alla tematica di cui tratta l’intero articolo. L’esplorazione di modelli per scenari futuri e la loro nascita, quali archetipi dell’abitare vi concorrono e quale intricato groviglio di settori rientrano (servizi, salute, scelte individuali, famiglia, …). Il sito ci guida in una indagine sulle mutazioni urbane e gli stili di vita emergenti, che rispecchiano le nostre scelte nei confronti della città che vogliamo, in maniera più o meno consapevole, e ci traghettano verso una meta non sempre auspicabile.

Tra futuri immaginabili e futuri possibili, pochi sono i futuri effettivamente raggiungibili. Di essi, solo una minima parte definisce futuri desiderabili, quelli a cui ambire. 

Con il metodo degli scenari, il processo decisionale avanza secondo principi guida e azioni allineate a un obiettivo a lungo termine, anziché ad una soluzione precostituita. Tra le iniziative che adottano questo tipo di approccio, possiamo fare riferimento ai 17 obiettivi dell’Agenda globale per lo sviluppo sostenibile; così come le discussioni svoltesi durante la COP 26, l’annuale edizione della conferenza delle Parti sul Clima, organizzata dalle Nazioni Unite. Sono grandi occasioni per tracciare un piano d’azione, in questo caso in ottica di transizione ecologica, e gli scenari ci permettono di misurarne, e soprattutto comunicarne, l’efficacia. Sono proiezioni fittizie che portano alle estreme conseguenze i provvedimenti presi (o no) all’anno 0, momento in cui si riconosce un’urgenza da assolvere.

Utopia e necessità si confondono a detta di Renzo Piano, che nell’intervista contenuta nel libro Sguardi sull’architettura contemporanea esorta ad approcciarsi con entusiasmo alle sfide che la natura ci richiede di affrontare. Con consapevolezza e creatività, ricercare quelle che chiama utopie realizzabili, le sole a poter essere considerate davvero buone idee. E’ dalle necessità che siamo portati all’evoluzione, facendo di queste riflessioni un fondamento progettuale, con una buona dose di coraggio e inventiva. Su una linea del tempo che va da oggi a infinito, gli scenari si collocano a metà tra le previsioni attendibili e la speranza a lungo termine.

L’architetto ricorda la neutralità carbonica per gli edifici, come un pensiero utopico della sua gioventù. Eppure attualmente il suo studio RPBW è impegnato nella costruzione di tre ospedali a emissioni (nette) zero. Un traguardo raggiunto a vent’anni di distanza dal progetto per la California Academy of Science a San Francisco, nel quale iniziava a sperimentare attorno a questo tema dell’abbattimento dei consumi, partendo dall’installazione di un tetto verde. Su quelli che ieri erano risultati impensabili oggi si inscrive la nuova poetica del costruire.

Per continuare a camminare sulla strada della sostenibilità, un fattore importante per comprendere l’utilità dello scenario futuro, come strumento progettuale, è la sua capacità di controllare in maniera unitaria e preventiva le conseguenze delle scelte da intraprendere. In architettura è possibile aprendo il ragionamento ad una scala più ampia, rispetto a quella del singolo edificio.

Prendiamo la dispersione urbana: un territorio invaso da schegge, lo definirebbe l’architetto Giancarlo De Carlo. Una distesa di piccole unità abitative, sparse in ampie porzioni di spazio, senza regolamentazione e senza un pensiero attorno al loro impatto sull’ambiente. Ognuna potrà anche venire successivamente munita di pannelli fotovoltaici per migliorarne l’efficienza energetica ma fintanto che non si sarà ripensata la mobilità dell’intera regione, gli spostamenti avverranno solamente in automobile. Le strade continueranno a tagliare campi e habitat, interrompere il movimento delle specie e consumare il suolo che potrebbe essere utilizzato per coltivare a filiera corta e preservare le condizioni ideali per la biodiversità.

Non si tratta di un problema formale e di qualità estetica delle case, quanto piuttosto di pianificazione, di strategia. La mancata lungimiranza e il pensiero non sistemico provocano una serie di fattori a catena, che rendono la speculazione edilizia un problema di questa portata. Da New York a Milano, fino nell’entroterra veneto; questo ora è il punto di partenza per riformare il territorio. 

Architetti e architette si mettono in gioco, a partire dal ripensamento dei propri strumenti, trasformando la voglia di teorie utopiche in audaci scenari pragmatici. Hashim Sarkis, curatore della 17. Mostra Internazionale di Architettura, nella sua lettera d’intenti apre una lunga riflessione sul loro ruolo nella società contemporanea e li sprona, affinché come artisti, sfidino l’inazione che deriva dall’incertezza. 

Abbandoniamoci, ogni tanto, ai castelli in aria. Chiediamoci “…e se?”

Valeria Simonini

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