Paesaggio Territorio

Architettura e paesaggio: un dialogo necessario

L’articolo 131 del Codice dei beni culturali e del paesaggio presenta la seguente nozione:  

“Per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni.’’ 

Da ciò deduciamo che quando si fa riferimento al paesaggio è necessario considerarne l’identità, che risulta essere fondamentale per comprenderne il valore culturale.  Ma che cosa significa?  Significa che il paesaggio non è tale perché è bello o per ciò che rappresenta, ma perché è frutto di un dialogo tra uomo e natura.  Questa è la nozione di paesaggio ad oggi più conosciuta, ma non è sempre stato così.  


Il diritto del paesaggio ha subito nel corso dei decenni una rilevante evoluzione a partire  dalla legge n. 411 del 1905 che, per la prima volta, ha riconosciuto la dimensione giuridica del paesaggio e ha classificato come “bellezze di carattere naturale” diverse aree e beni. Il culmine di tale trasformazione è avvenuto nel 2004, anno in cui è stato promulgato il  Codice dei beni culturali e del paesaggio, contenente la definizione di paesaggio odierna.  
Tra il 1905 e il 2004 sono state emanate diverse leggi che hanno contribuito alla  trasformazione di tale nozione, tra cui ricordiamo la legge Croce del 1922, nella quale  la concezione di paesaggio era estremamente naturalistica e i cui capisaldi erano il bello, la natura, l’estetica; la legge Bottai del 1939, che ha finalmente associato il paesaggio al  patrimonio storico artistico e ha introdotto il Piano Paesistico, uno strumento utilizzato ancora oggi per individuare e classificare i beni paesaggistici meritevoli di tutela.  
Un ultimo ed importante episodio prima del 2004, è stato l’emanazione della  Costituzione italiana, che all’articolo 9 riconosce e afferma la connessione tra paesaggio e patrimonio storico. 

Questa breve carrellata di eventi storici consente di comprendere che il paesaggio non può essere considerato esclusivamente come elemento naturale e ne evidenzia la dimensione culturale e la stretta connessione con la condotta dell’individuo. Possiamo dunque affermare che l’uomo non è solamente circondato dal paesaggio, ma è parte di esso e che tale forte interrelazione può avere sia un impatto positivo che negativo sulla sua fisionomia.  Tra gli innumerevoli elementi che costituiscono il nostro paesaggio, possiamo sostenere che l’architettura ha contribuito fortemente alla sua connotazione, talvolta positivamente e, talvolta deturpandolo. Pensiamo, ad esempio, alle periferie che circondano le grandi città italiane.

Al termine della Seconda guerra mondiale, quando la ricostruzione era la prima necessità,  l’edificazione di innumerevoli edifici, quasi sempre in cemento armato, ha contribuito a creare  diverse problematiche, sia dal punto di vista paesaggistico che sociale. Si tratta di una progettazione non curante degli spazi del vivere quotidiano, dell’integrazione sociale e dell’impatto sul paesaggio, bensì unicamente interessata al profitto, all’economicità e alla velocità di costruzione.  Tale fenomeno, nel corso degli anni, ha contribuito a rendere il settore dell’edilizia uno  dei maggiori responsabili dell’inquinamento e, in un certo senso, del cambiamento  climatico.  A tal proposito qualche dato.  

Salvatore Settis, nel libro, “Paesaggio Costituzione Cemento” scrive dell’impatto che  l’architettura ha sul paesaggio e attraverso alcuni dati consente di comprendere perché il  settore edile sia uno dei maggiori responsabili del cambiamento climatico: secondo il rapporto ISTAT 2017 (Forme, livelli e dinamiche dell’urbanizzazione in Italia), l’espansione dell’urbanizzazione ha conosciuto negli ultimi  decenni un’accelerazione senza precedenti, che si è prodotta in assenza di pianificazione  urbanistica sovra-comunale in importanti aree del Paese (Mezzogiorno, Veneto e Lazio).  Nel periodo 1995-2006 i Comuni italiani hanno rilasciato in media permessi di costruire  per 3.1 miliardi di metri cubi, pari a oltre 261 milioni di metri cubi l’anno, di cui poco più  dell’80% per la realizzazione di nuovi fabbricati e il rimanente per l’ampliamento di  fabbricati esistenti.”  E ancora: “gli edifici rappresentano circa il 40% delle emissioni mondiali di gas serra,  il 36% dell’intero consumo energetico e il settore edile è responsabile del 50% delle  estrazioni di materie prime e del consumo di un terzo di acqua potabile.”

Inoltre, il settore edile è responsabile di un consumo di suolo eccessivo. Ciò comporta la riduzione delle superfici permeabili, ovvero degli spazi verdi. Il consumo di suolo distrugge la naturale funzione protettiva del terreno e lo impermeabilizza con colate di cemento (soil sealing), ciò genera una perdita di biodiversità legata alla riduzione della vegetazione e all’aumento delle temperature, in quanto le superfici trattengono il calore. Possiamo dunque affermare che vi è una relazione tangibile tra cambiamento climatico e consumo di suolo e che l’architettura sia uno dei maggiori responsabili di tali condizioni.  

Per limitare l’impatto sul paesaggio e, più in generale sull’ambiente, sono state adottate diverse strategie, come ad esempio, la rigenerazione urbana e l’architettura sostenibile.  La prima, mira al recupero di immobili esistenti e di aree degradate per evitare ulteriore consumo di suolo, tenendo in considerazione le dinamiche sociali e prevedendo una maggiore collaborazione tra la Pubblica Amministrazione e i cittadini. Tra questi, importanti sono i Patti di collaborazione e gli usi temporanei. L’architettura sostenibile, invece, favorisce la progettazione di edifici in grado di limitare  impatti sull’ambiente, come ad esempio gli NZEB (Nearly Zero Energy Building), edifici a consumo di energia quasi pari a zero.  In modo analogo, per il consumo di suolo sono stati introdotti diversi obiettivi e orientamenti, tra cui, i più importanti, sono quelli delle Nazioni Unite e dell’Unione europea inerenti l’azzeramento del consumo di suolo netto entro il 2050 e alla  diminuzione del degrado del territorio entro il 2030

La sopracitata stretta relazione tra architettura e paesaggio fa sì che l’uomo sia il maggiore responsabile delle trasformazioni ambientali e, di conseguenza, l’unico che può attuare il cambiamento necessario per un vivere migliore nel prossimo futuro. Italo Calvino nel libro “Le città invisibili” scrive di Eutropia descrivendola non come un unico abitato, ma come una città composta da più agglomerati, ciascuno collocato su un vasto altopiano. Gli abitanti di Eutropia, quando si trovano ad affrontare una situazione  difficile, dovuta a problemi di lavoro o di altra natura, si spostano nella città vicina dove hanno la possibilità di cambiare mestiere e personalità.  
Purtroppo al di fuori delle pagine di Calvino non esiste un pianeta B in cui rifugiarsi. E tu, non potendo fuggire, cosa fai? 

 Eleonora Todeschi

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