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Economia sociale: tra crescita e responsabilità sociale d’impresa

foto assemblea

L’economia sta alla base delle nostre vite e, come scienza sociale, permette diverse possibilità di scelta e azione. Tra i modelli economici esistono differenze sostanziali: cosa distingue ad esempio l’economia sociale da quella capitalista? In questo articolo proviamo a fare un po’ di chiarezza, mettendo in luce anche il ruolo che possiamo avere come consumatori.

Economia tradizionale

Nell’economia tradizionale esiste una relazione molto stretta tra profitto e lavoro: l’uno – il lavoro – è a servizio dell’altro – il profitto. Che ci piaccia o meno, le nostre vite dipendono da un modello incentrato sulla valorizzazione della produttività, perché la crescita del profitto sembra essere l’unica cosa che conta nella maggior parte dei casi.

Dalla massimizzazione degli utili dipendono le nostre abitudini di vita, al di là dei giri di parole. Se ci va bene finiamo di lavorare alle 18 nei giorni feriali, se ci va male lavoriamo anche di domenica perché qualcuno possa comperare il latte che ha dimenticato il giorno prima. 

Il modello economico ‘tradizionale’ in cui siamo immersi è letteralmente parte di noi, ed è difficile uscirne.  Per questo è complicato portare alla luce e raccontare approcci diversi all’economia, per questo noi tutti sottostimiamo il valore dell’economia sociale

Economia sociale 

Per economia sociale intendiamo un’economia caratterizzata da attività con utilità sociale e senza scopo di lucro, realizzate dalle organizzazioni di Terzo Settore (ETS) che nel loro agire sono mosse da principi come la reciprocità e la democrazia

Nel Terzo Settore ci sono Associazioni, Cooperative, Imprese sociali, Fondazioni e Mutue che – senza azionisti, investitori o dividendi – rappresentano un pilastro sociale e occupazionale irrinunciabile per il nostro Paese. 

I numeri parlano chiaro: oltre 360mila organizzazioni, 870mila dipendenti e quasi 5 milioni di volontari. Uno tra i settori a più alta intensità di lavoro, ad esempio, è quello dei servizi sociali, che coinvolge 1.200.000 persone tra dipendenti e volontari e rappresenta un nodo essenziale per il sistema di welfare italiano. 

Il mondo dell’economia sociale è vasto da immaginare e complesso da definire entro confini rigidi, ma per rendere l’idea basti pensare che sotto lo stesso cappello operano cooperative sociali con pochi dipendenti e mutue assicuratrici (in Italia sono soltanto due) con utili di decine di milioni di euro. 

Occorre togliersi dalla testa una volta per tutte l’idea che il mondo dell’economia sociale non generi crescita economica, oltre che di benessere. E soprattutto bisogna tenere a mente che per un Paese c’è modo e modo di crescere, come ci ha ricordato Robert Kennedy già nel 1968: “Il PIL misura tutto, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”. Qui il discorso completo, e commovente.

La rivalutazione europea dell’economia sociale

Da qualche anno è cresciuta la consapevolezza che il ruolo del Terzo Settore e dell’economia sociale vada rivalutato. La diffusione dell’interesse per le organizzazioni dell’economia sociale è confermata dall’attenzione che la Commissione Europea ha dedicato a tali organizzazioni e allo studio della loro dimensione ed evoluzione (European Commission 2020a; 2020b).

Un’attenzione e un interesse che sono cresciuti nel tempo, fino all’approvazione nel 2021 dell’Action Plan per l’Economia Sociale (European Commission, 2021), con l’intento di promuovere un ulteriore potenziamento di queste organizzazioni nei Paesi dell’Unione Europea e favorire il perseguimento del più generale obiettivo di realizzare un modello di crescita sostenibile, equo e inclusivo. 

I crescenti segnali di interesse meritano di essere menzionati tanto più nell’anno che vede Trento Capitale Europea del Volontariato, occasione preziosa per accendere un faro a livello locale sull’intreccio virtuoso di profit e no profit che sostenta e spinge l’economia trentina. 

Beneficienza vs Responsabilità sociale d’impresa 

Riconoscere l’importanza di un’economia che per anni è stata considerata di serie B, non significa trascurare il lavoro di aziende profit virtuose, anzi virtuosissime, che spingono sulla crescita sostenibile del nostro Paese, valorizzando le persone e rispettando l’ambiente. 

Esistono di certo aziende impegnate in prima linea in attività di beneficenza a favore di cause meritevoli, e tuttavia non dobbiamo dare alla beneficenza più valore di quanto ne diamo alle politiche di governance lungimiranti e/o statutarie, ai modelli di amministrazione partecipativi e democratici, allo scopo sociale delle imprese. 

La beneficenza da parte delle imprese è auspicabile, e spinge in avanti progetti che non saprebbero sostentarsi altrimenti (solo a volte apre la porta a scivoloni mediatici o ad “errori di comunicazione”- capro espiatorio di ogni cattiva scelta di business). Ma a prescindere da questo, converrebbe riconoscere a monte l’impegno quotidiano degli Enti di Terzo Settore che costruiscono la propria crescita sulla cooperazione, sulla sostenibilità sociale, sulla condivisione dei rischi, senza bisogno di dimostrare l’attenzione ad una causa attraverso una donazione. 

Il potere delle nostre scelte d’acquisto

Quanto alle imprese, di qualunque natura esse siano, far coincidere la crescita economica coi valori di comunità, sostenibilità, partecipazione, mutualità è un aspetto che – come consumatori – abbiamo l’obbligo di prendere in considerazione (o la responsabilità di non prendere in considerazione). Oltre il marketing, oltre il greenwashing, oltre la nostra pigrizia. 

Come ho già scritto qui, occorre fare leva sul più grande dei poteri di cambiamento in nostro possesso: il potere d’acquisto. Quando compriamo un paio di jeans, quando è finito il caffè, quando scegliamo un’impresa edile per rifare casa, e quando quella casa la dobbiamo assicurare: nessuna scelta d’acquisto vale mai l’altra. 

La recente rivalutazione dell’economia sociale in Europa e la crescita – anche nel mondo profit – delle aziende che prediligono equilibrio e attenzione alle persone in virtù di uno scopo, sono segnali incoraggianti.  Resta solo da chiederci se siamo pronti a cambiare schemi e abitudini, se siamo pronti a mettere l’economia a servizio della persona. Intanto, rendersi conto della diversità dei modelli economici che ci circondano è un primo passo. 

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