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Alla ricerca della Salute perduta: oltre il referendum per il distretto biologico

Quando il mondo inizia a girare lentamente e, pian piano, tutto si ferma, i pensieri si sostituiscono alle azioni e, invece di essere travolti dalla nostra frenetica quotidianità, ci troviamo chiusi in casa, seduti sul divano, a leggere un po’ di più, a conversare un po’ di più e a riflettere un po’ di più.

Forse è anche per questo che, durante gli ultimi anni, c’è stata una maggiore presa di coscienza riguardo a tutta una serie di crisi umanitarie, ambientali, economiche e sociali, che ha portato sempre più cittadini a porre in essere azioni e buone pratiche coerenti con un modo di vivere sostenibile e inclusivo. 

Un esempio a noi vicino potrebbe essere quello che ha coinvolto più di 13.000 trentini, mobilitatisi nella raccolta firme per indire il referendum sul distretto biologico provinciale, fissato per il prossimo 26 settembre. Il quesito a cui saremo chiamati a rispondere sarà:

“Volete che, al fine di tutelare la salute, l’ambiente e la biodiversità, la Provincia Autonoma di Trento disciplini l’istituzione su tutto il territorio agricolo provinciale di un distretto biologico, adottando iniziative legislative e provvedimenti amministrativi -nel rispetto delle competenze nazionali ed europee- finalizzati a promuovere la coltivazione, l’allevamento, la trasformazione, la preparazione alimentare e agroindustriale dei prodotti agricoli prevalentemente con i metodi biologici, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo 228/2001, e compatibilmente con i distretti biologici esistenti?”

Ma cos’è un biodistretto? Parliamo di un’area geografica naturalmente vocata al biologico dove operano diversi attori, i quali decidono di stringersi in un accordo e di lavorare in sinergia per la gestione sostenibile delle risorse, partendo dal modello biologico di produzione e consumo. 

L’iniziativa, voluta dal Comitato referendario e sostenuta da numerose realtà trentine, nasce a seguito di lunghe analisi riguardanti la tossicità ambientale e le svariate problematiche riscontrate dai cittadini che vivono in costante contatto con le aree coltivate industrialmente. Come ha raccontato la Dott.ssa Patrizia Gentilini, oncologa, ematologa e membro dell’associazione “Medici per l’ambiente”(Associazione indipendente affiliata all’International Society of Doctors for the Environment – ISDE, analoga associazione internazionale, riconosciuta dalle Nazioni Unite e dall’OMS.), alla conferenza “L’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari”, l’esposizione umana ai pesticidi è estremamente pericolosa, soprattutto se si parla di esposizione residenziale. Uno studio comparato tra analisi del sangue e delle urine e una sofisticata indagine sul microbiota intestinale ha dimostrato che quanto più aumenta la presenza di sostanze chimiche nei primi, tanto più risultano basse le difese immunitarie nei soggetti presi in esame. Di conseguenza, non meraviglia che nelle aree in cui prevale l’utilizzo di pesticidi vi sia un maggiore incremento di disturbi endocrini,  di problematiche legate al neuro-sviluppo e alla salute riproduttiva o di malattie quali Parkinson e leucemie.

È chiaro che un cambiamento debba intervenire al fine di tutelare l’ambiente e la salute di tutti, limitando, fino ad eliminare completamente, l’utilizzo di prodotti fitosanitari per sostituirli, nella lotta contro erbe infestanti, funghi, insetti, batteri e virus, con altri metodi meno dannosi.

Un esito positivo del referendum vincolerebbe la Provincia ad intraprendere un lungo iter normativo, attraverso l’adozione di provvedimenti che guarderanno alla tutela della salute, dell’ambiente e della biodiversità del territorio. Contemporaneamente dovrà prendere avvio il percorso partecipato, necessario per l’istituzione del distretto, che coinvolgerà innanzitutto grandi e piccoli agricoltori e allevatori che, per aderire al patto, sempre su base volontaria, dovranno iniziare un processo di conversione in biologico di parte o dell’intera produzione. Al tavolo, poi, siederanno i rappresentanti delle pubbliche amministrazioni, imprese dell’industria alimentare, esercizi commerciali, strutture ricettive, realtà associative e chiunque, portatore di interesse, possa contribuire ad uno sviluppo coerente con l’indirizzo delineato dal quesito.

Si tratta quindi di una strada impegnativa che si articolerà in numerosi passaggi e che non indicherà, sin da subito a chi inizierà a percorrerla, la meta. Proprio per questa ragione non mancano perplessità e timori da parte, in particolare, di piccoli agricoltori e allevatori, alcuni dei quali già certificati biologici. Si sa, quando si impegna un organo, legislativo o esecutivo che sia, e le maglie dei vincoli sono alquanto larghe, il rischio è che il percorso, intrapreso per rispettare le promesse, non sia proprio quello che ci si aspettava. Nel grigiore dell’incertezza risulta legittima la paura che la classe politica concretizzi il proprio impegno senza guardare agli interlocutori, senza progettare studiando le singole realtà territoriali, senza indagare gli eventuali effetti sociali ed economici che seguirebbero alle decisioni. Un indirizzo che, rispettando solo di facciata il vincolo referendario, potrebbe penalizzare le piccole aziende di cui la nostra Provincia è costellata. 

Sarebbe sbagliato e, probabilmente assurdo, focalizzarsi solo ed esclusivamente sul metodo biologico senza allargare la riflessione ad altre questioni quali, ad esempio, l’agricoltura intensiva, le monocolture, la gestione aziendale o la ricaduta di costi e benefici sulle parti in causa. E, per quanto sia assodato e ribadito in numerosi documenti comunitari e internazionali che parlare di salute significhi ragionare trasversalmente su tanti ambiti, ancora troppo spesso le decisioni, anche nei nostri ordinamenti occidentali, vengono prese per compartimenti stagni e, proprio per questo, i timori non paiono poi così infondati.

Basterebbe girare le lancette dell’orologio indietro di qualche mese per trovarci seduti ad ascoltare attentamente, magari con penna e blocco degli appunti, il susseguirsi di interventi alla conferenza sull’utilizzo dei prodotti fitosanitari di cui accennavamo sopra. Una frase pronunciata in quest’occasione dalla Dott.ssa Raffaella Canepel, Direttrice dell’Unità organizzativa per la tutela dell’acqua, potrebbe rappresentare perfettamente questo modo di operare: dopo l’osservazione di Paolo Zanella, che auspicava uno studio comparato dei dati presentati da APPA, sulla salubrità delle acque trentine, e delle allarmanti informazioni fornite dalla Dott.ssa Gentilini, la Direttrice, pur apprezzando e condividendo la proposta del consigliere provinciale, rammaricata, risponde: Purtroppo io mi occupo di ambiente, non di salute (la risposta della Dott.ssa Canepel a 1.41.00)  

Questa manciata di parole racchiude la visione, evidentemente ancora radicata, di un sistema anacronistico e, proprio per questo, potenzialmente pericoloso. Non possiamo pensare di incamminarci verso il cambiamento senza ridisegnare il significato stesso di benessere, che, anche per l’uomo, dovrà essere valutato alla luce di studi biologici, epidemiologici e territoriali. 

È chiaro che questo referendum, focalizzandosi in un primo momento sul metodo, avrà poi l’arduo ma doveroso compito di scavare a fondo e iniziare un processo di riforma di un modus cogitandi ormai obsoleto. L’auspicio è che il 26 settembre possa davvero rappresentare la linea di partenza per un graduale cambio di rotta, fondato sulla collaborazione, il controllo e l’attenzione, da parte di tutti, alla salute, che è una e una sola.

Assia Zoller
Foto di Giovanni Beber

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