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Sull’abbandono dei luoghi, perché riqualificare è importante

Sono molteplici i luoghi in abbandono che costellano l’Italia, i più si trovano nell’entroterra lungo la fascia appenninica e nelle zone montane di tutto il Paese. 

Sebbene questo fenomeno in Trentino sia meno presente rispetto alle altre regioni italiane, vi sono parecchi edifici e borghi che ne soffrono e che sono in attesa di essere riqualificati e arricchiti di inedite destinazioni d’uso. 

Perché andarsene?

Le cause sono da ricercare principalmente nella mancanza di occasioni economiche, abitative e soprattutto sociali. Nel concreto questo significa carenza di infrastrutture, di spazi pubblici e mancanza di opportunità di lavoro. Sono tutte motivazioni comprensibili che giustificano, in parte, la fuga da questi territori. 

Da un lato, sono motivate le ragioni dei giovani che nascono e crescono in territori dove oltre alla piazza, ai piccoli negozi di quartiere e ai bar non vi è altro, ma allo stesso tempo è infelice rendersi conto che gli stessi non abbiano creduto nella potenzialità, anche se celata, di questi luoghi. 

Forse restare, in alcuni casi, potrebbe rivelarsi la soluzione migliore, perché, come diceva il professore Vittorio Teti, «restare non significa essere statici e chiusi al cambiamento, ma prendere in mano quello che rimane per farlo rivivere in relazione con il mondo esterno in continuo cambiamento».

Ed è qui che entra in gioco l’architettura, disciplina che ha il compito e il dovere di progettare degli spazi capaci di mantenere salda una comunità, di generare opportunità, di disegnare luoghi di incontro e socialità, di attribuire agli edifici ormai in disuso una nuova destinazione, con creatività e con ragionevolezza. 

Progettare significa far rivivere luoghi che non meritano di essere lasciati in uno stato di abbandono. Quest’ultimo, oltre a divorare le mura e i solai, si porta con sé le anime degli abitanti che – uno ad uno – se ne sono andati. 

Il fenomeno dell’abbandono in Trentino 

Per fornire un quadro della situazione trentina è opportuno citare il progetto «Sedotti e abbandonati», sviluppato dal collegio degli ingegneri di Trento, in collaborazione con il Circolo trentino di architettura contemporanea, il Circolo fotografico «Il Fotogramma» e la Fondazione Caritro. 

Da luglio a novembre del 2020, sono stati monitorati e mappati gli edifici abbandonati, in disuso e dismessi nella provincia di Trento, con il risultato di 150 manufatti collocati nelle aree urbane, periferie, valli e montagne. Tra questi si ricordano l’area industriale dismessa lungo la statale 12 a Rovereto, lo stabilimento Montecatini a Mori, e ancora, l’ex Atesina a Trento Nord. 

L’aspetto innovativo di questo progetto risiede nella volontà di creare una vera e propria documentazione fotografica e non solo una catalogazione ad elenco utile per le mappe catastali. 
Questo approccio ha consentito di mobilitare l’opinione pubblica sul problema dell’abbandono, purtroppo, non ancora del tutto riconosciuto come tale. 

Tratta dello stesso tema l’articolo del 13 gennaio 2023 del quotidiano l’Adige, che titola: “In Trentino oltre 400 edifici abbandonati”. Interessante è l’approccio proposto dall’ingegnere Emiliano Leoni, che espone delle soluzioni al fenomeno. Consiglia dapprima di ragionare sulla scala degli abbandoni, e poi solo successivamente di pensare alle tattiche e strategie, evidenziando così l’importanza della comprensione dei manufatti e del rapporto con il contesto sociale e ambientale

Dall’articolo è emerso inoltre il tema del consumo di suolo, a cui, attraverso la rigenerazione e riqualificazione di queste aree, si risponderebbe con la tecnica del “costruire sul costruito”, senza quindi comportare un ulteriore utilizzo di questo.  

Da edificio in stato di abbandono a luogo di sperimentazione culturale a artistica: Il caso della centrale Fies 

Ci sono diversi gradi di abbandono, casi di interi borghi fantasma e casi di edifici isolati in territori abitati, come la Centrale Fies, luogo divenuto oggi di sperimentazione artistica e culturale e un tempo centrale idroelettrica. 

L’edificio si trova a Dro, in Trentino, ed è un esempio ben riuscito di restauro e riconversione di un manufatto che per anni è stato lasciato a se stesso. 
Da trent’anni a questa parte la centrale non svolge più la sua attività industriale e gli spazi dapprima utilizzati per la produzione di energia sono stati riconvertiti. 

La sala trasformatori e la sala turbine sono oggi, rispettivamente, uno spazio di allestimento di mostre, incontri pubblici, workshop, presentazioni e un grande teatro; le sale forgia e le preesistenti abitazioni degli operai, ospitano invece delle sale di prova e per la presentazione di performance e residenze per gli artisti della struttura. 

Questo significa far rivivere un luogo, essere capaci di vedere attraverso le rovine e intuire il vero potenziale di questi edifici, andando oltre la destinazione d’uso originaria e le questioni legate alla forma tipologica. 

Seguire questi esempi di riconversione significa dare alle città nuovi spazi e nuove funzioni, fondamentali per generare quelle stesse occasioni economiche, abitative e sociali la cui assenza è responsabile dell’abbandono dei luoghi.

Eleonora Todeschi

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