Economia e Politica Esteri

Il Kosovo e la sua autonomia. Le contraddizioni del Cremlino

Il Kosovo e la sua autonomia. Le contraddizioni del Cremlino

Quando si tratta del conflitto russo-ucraino, spesso si discorre anche delle ricadute che questo ha sui vicini Balcani, in particolare sul Kosovo. Tant’è che nel dicembre scorso il vice primo ministro del Kosovo, Besnik Bislim, ha sostenuto che il Cremlino stesse alimentando le tensioni Serbia-Kosovo per distrarre dall’invasione russa dell’Ucraina. In tal senso, è interessante discutere del ruolo che la giovane Repubblica riveste nella retorica del Cremlino.

Lo stesso Putin ha citato l’esempio del piccolo Paese balcanico per giustificare il riconoscimento unilaterale delle repubbliche di Luhansk e Donetsk. Se il Kosovo è stato sostenuto militarmente e politicamente nel suo percorso di indipendenza, si chiede Putin, perché non può valere lo stesso per le Repubbliche in territorio ucraino? Proviamo qui a condensare brevemente la storia del Kosovo e la sua posizione oggi, per capire i riferimenti dello Zar.

Alle radici di un’autonomia non pacifica

La storia del Kosovo non è univoca, a seconda che la si legga attraverso la storiografia serba o quella albanese.

Per i serbi, il Kosovo è culla delle proprie origini religiose e culturali. Centrale è la Piana dei Merli, Kosovo Polije, nella parte nord del Paese: una distesa di terra pianeggiante che vide scontrarsi nel 1389 il Principe serbo Lazar con l’Impero Ottomano. La successiva sconfitta di Lazar viene percepita come il momento in cui si è tentato con gran sacrificio di fermare gli “infedeli”. Un evento cardine per lo sviluppo del nazionalismo serbo e della diffidenza verso la maggioranza musulmana del Kosovo. Chiarificatore è il memorandum dell’Accademia delle Scienze Serba, pubblicato negli anni ’80, che accusa la comunità albanese di attuare un genocidio nei confronti dei serbi in Kosovo.

Per gli albanesi, la storia del Kosovo trova le sue radici nella antica popolazione degli Illiri. Il Kosovo è considerato quindi la culla della cultura albanese e parte integrante della cosiddetta Albania etnica. Infine, ad oggi, la popolazione del Kosovo è albanese per oltre il 90 percento. Tuttavia, quando l’Albania ottenne l’indipendenza nel 1912, i suoi confini vennero ridisegnati dalla Conferenza degli Ambasciatori delle Grandi Potenze, che ignorarono i confini etnici. Il Kosovo fu così assegnato alla Serbia.

La storia più recente ci aiuta a comprendere meglio il Paese oggi. Nel Primo Dopoguerra, la Serbia e con essa il Kosovo entrarono a far parte del Regno di Jugoslavia. Dal 1945, la regione poté godere di forte autonomia garantita costituzionalmente dalla Jugoslavia socialista, fino all’arrivo di Milosević. Nel 1987, non ancora Presidente, venne chiamato in Kosovo da estremisti serbi che lamentavano di essere vittime di un genocidio da parte degli albanesi. Questo segnò la svolta. Milosević infiammò la Serbia nazionalista con la frase “nessuno deve osare picchiarvi” rivolta ai poliziotti serbi presenti al comizio per arginare i contro-manifestanti albanesi. Da quel momento in poi, ad una forte repressione degli albanesi in Kosovo conseguì la perdita dell’autonomia.

Pochi anni dopo iniziarono le guerre di disgregazione jugoslave. Nel giugno del 1999 gli illegittimi bombardamenti della NATO su Serbia e Kosovo posero fine all’ultimo conflitto della Ex-Jugoslavia lasciando un cumulo di macerie. Tantissimi albanesi fecero rientro, ma in Kosovo non c’era più nulla. Nei primi anni 2000 si è stimato che per la sola ricostruzione delle case sarebbero serviti decine di miliardi di euro.

Nel 1999, il Consiglio di Sicurezza votò la risoluzione 12/44 con cui si impegnò a gestire direttamente il Kosovo. La risoluzione servì a “riaffermare la sovranità e l’integrità territoriale” della Repubblica Federale di Jugoslavia, allora Serbia-Montenegro, e degli altri Stati della regione. Nessun cenno ad alcuna indipendenza. Senza aver alcun tipo di esperienza in materia, l’UN lanciò la missione KFOR, attraverso la quale avrebbe amministrato il Paese.

Se è vero che la missione UN implicò che il Kosovo dovesse rimanere parte della Serbia-Montenegro, non ci si interrogò sulle modalità in cui ciò sarebbe dovuto avvenire. Nel 2004 le tensioni sfociano in una accesa persecuzione ai danni dei Serbi. Si aprono dunque i negoziati. Da un canto la Serbia offre una forte autonomia, dall’altro il Kosovo accetta niente meno che l’indipendenza. Quattro anni dopo, il Kosovo autoproclama la propria indipendenza e viene riconosciuto da molti membri dell’ONU. Ad oggi, mancano all’appello Russia, Cina e Serbia. Inoltre, cinque Paesi membri dell’UE, per ragioni di politica interna, non riconoscono il Kosovo.

Sulla strada per un accordo

Già intorno alla fine del 2022, il divieto di Pristina di utilizzare targhe serbe all’interno dei propri confini ha causato proteste e tensioni, culminate nel ferimento di due giovani serbi alla vigilia del Natale ortodosso. In risposta, i serbi sono usciti da tutte le istituzioni kosovare, rendendo necessarie le elezioni anticipate in quattro municipalità a maggioranza serba nel nord del Paese. Il 23 aprile scorso, a seguito delle votazioni boicottate dai serbi, i rappresentati di etnia albanese sono risultati vincitori a fronte del 3,47% dei votanti.

Sono seguite dichiarazioni piccate. Il 27 aprile, Ivic Dačić, ministro degli Esteri serbo, ha ribadito di fronte alle Nazioni Unite che la Serbia mai riconoscerà il Kosovo né permetterà il suo ingresso nel Palazzo di Vetro. Immediata la risposta della sua omologa kosovara, Donika Gervalla, che ha accusato il collega di essere un “criminale di guerra”.

Nel frattempo, le trattative per definire lo status del Paese si sono aperte, chiuse e riaperte. Così, i punti maggiormente problematici rimangono. Di questi, possiamo citarne quattro.

1. Libertà di movimento e utilizzo delle targhe. Come tutti i documenti che riportano i simboli dei due Paesi, queste sono un automatico riconoscimento dell’autorità dello Stato autonomo. Come regolare la materia?
2. “Normalizzazione dei rapporti” non significa mutuo riconoscimento, bensì una progressione nello smaltimento delle istituzioni pre-guerra serbe del Kosovo. Questo specialmente in alcuni comuni del nord del Kosovo, dove gli ospedali non sono parte del sistema sanitario nazionale e sono sovvenzionati da Belgrado.
3. Un altro tema caldo è la costituzione di una entità di autogoverno per i serbi del Kosovo, nelle vesti di un’associazione dei comuni a maggioranza serba. La proposta è tuttavia inattuabile, perché la Corte Costituzionale ha deciso per la sua illegittimità. Si costituirebbe così una sorta di entità sub-statale controllata da Belgrado. Come bilanciare integrità territoriale e composizione etnica?
4. Tanti monasteri in Kosovo sono patrimonio UNESCO, ma sono intitolati alla Serbia e sono anche sotto il controllo della Chiesa ortodossa serba. Se il Kosovo entrasse nell’UNESCO, come si risolverebbe la questione?

Perché il Kosovo?

La questione del Kosovo è interessante sotto più profili.

Ricorda un bombardamento NATO mai autorizzato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ed uno schiaffo del potere statunitense, egemone negli anni ’90, al diritto internazionale.

Racconta di una missione a guida internazionale intervenuta massicciamente in questioni di politica interna e ha reso il Paese, nel suo percorso verso l’indipendenza, un protettorato.

Testimonia un legame di amicizia, quello tra Serbia e Russia, reale fino ad un certo punto. Putin, sostiene l’analista ISPI Giorgio Fruscione, quando cita l’esempio di Pristina si rivolge all’opinione pubblica internazionale, che a maggioranza vede nel Kosovo una storia di ingiusta sofferenza. Così facendo rischia di legittimare l’autonomia del Kosovo, in netta dissonanza con la propria politica estera ed il legame con Belgrado. Viene costruito un parallelismo forzato tra la vicenda balcanica e le Repubbliche in territorio ucraino, ma ci svela l’ipocrisia del diritto internazionale che da sempre è giustizia dei potenti.

Leonardo Torelli

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