Economia e Politica Esteri

Bosnia-Erzegovina. Brevi aggiornamenti – Parte I

Ci sono alcuni momenti in cui la Bosnia-Erzegovina si affaccia sui nostri quotidiani. Quest’anno se ne è parlato – anche su Lumen – in termini allarmistici in relazione alla guerra ucraina e più di recente per due ragioni. Dapprima, per le sempre complesse elezioni tenutesi a inizio Ottobre. In seguito, per la recente proposta dell’Unione Europea di concedere lo status di paese candidato alla giovane Repubblica. Partiamo da qui. 

L’Europa apre la porta alla Bosnia”, così recita parte del titolo di Repubblica il 13 Ottobre 2022, riportando la raccomandazione della Commissione Europea che chiede – meglio, raccomanda – ai Paesi Membri di concedere lo status di paese candidato a Sarajevo, avvicinandolo alle porte di Bruxelles. 

Innanzitutto, cerchiamo di limare il titolo di Repubblica. 

Le raccomandazioni, pur essendo certamente fonti del diritto europeo derivate dai Trattati, non hanno carattere vincolante. Sono invece strumenti che consentono alle istituzioni europee di rendere note le loro posizioni e di suggerire linee di azione. In questo senso, la Raccomandazione necessiterà di essere approvata all’unanimità dai membri del club europeo e ciò avverrà probabilmente non prima di dicembre. Inoltre, questa vincolerebbe Sarajevo a introdurre alcune riforme strutturali. Di queste si parlerà nel prossimo articolo, cercando di rapportarle ai risultati delle recenti elezioni svoltesi nel paese. 

Non è da dimenticare, come ha ammesso Borrell, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, la ragione strategica di questa apertura. L’inasprimento della guerra in Ucraina chiede al mondo di scegliere da che parte stare e l’Unione Europea allunga le mani a sud-est, per arginare la già radicata influenza dello Zar. Nonostante Bruxelles rimanga il principale investitore in Bosnia-Erzegovina e nella regione e mantenga un considerevole peso diplomatico, è molto comune imbattersi in graffiti pro-Putin o anti-NATO per le strade di molte città, soprattutto della Republika Srpska, l’Entità a maggioranza serbo-bosniaca. 

Aggiungiamo che per molti paesi dei Balcani Occidentali entrare a fare parte dell’Unione Europea è sinonimo di vantaggio economico (condizionato alle riforme richieste), ma richiede anche una coerenza di valori tra il paese candidato e Bruxelles. Così, la strategia di politica estera adottata dalla UE è stata ribattezzata come approccio “stick and carrot”: il bastone delle riforme e la carota della membership. 

Questo strumento è stato utilizzato negli ultimi anni per esercitare influenza geopolitica sulla regione, facendo dubitare che realisticamente i paesi coinvolti nel prossimo futuro potessero entrare a fare parte del club. Un esempio di discrasia “di valori” si può trovare nel Preambolo del Trattato che avrebbe dovuto dar vita alla Costituzione Europea nel 2009, poi naufragato, il quale definisce il tratto cristiano dell’identità europea. Una premessa che mal si concilia con il 51% di fedeli musulmani residenti in Bosnia-Erzegovina. Ciò non significa che nell’Unione Europea possano solo entrare paesi di religione cristiana, ma è sintomo di una direzione politica che influenza anche le scelte in tema di allargamento. 

Concludendo, era ora ed era inevitabile che una Raccomandazione di questo tipo arrivasse. Dopo aver conferito il medesimo status ad Ucraina e Moldavia e “riconosciuto la prospettiva europea” di Tbilisi, era dovuto soddisfare le legittime aspettative della Bosnia-Erzegovina, che ha presentato la propria candidatura europea nel 2016. 

Per riassumere, è opportuno leggere questa apertura non come un segnale di tenera comprensione a fronte di una volontà espressa per la prima volta circa vent’anni fa, ma come una mossa geopolitica e ragionata nell’interesse dell’UE. Tuttavia, oggi più che mai è importante che l’UE renda l’accessione plausibile agli occhi dei cittadini della regione. Qualora così non fosse, ci ricorda Bechev, docente all’Università di Oxford specializzato in politica internazionale, “Balkan power players are likely to shun Brussels’ demands, look elsewhere for political support and economic rewards, and take the European Union for granted”. Sicuramente è necessaria una spinta riformista interna, dal momento che il vincolo esterno europeo non può farsi carico interamente del processo di transizione del paese. Si auspica tuttavia un maggior coinvolgimento di Bruxelles e questa apertura potrebbe segnare una nuova fase. 

Leonardo Torelli

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