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Blockchain: dagli NFT alla democrazia digitale

Blockchain, NFT, Metaverso, Web3. Nonostante Internet sia ormai uno strumento imprescindibile per le nostre carriere, per l’accesso a molti servizi, e soprattutto per il nostro svago, alcune delle innovazioni affacciatesi di recente nel discorso pubblico suonano come parole arcane, anatemi o formule magiche. Quanto piú esse sono incomprensibili, tanto piú ci suonano potenti. Niente di cui stupirsi. D’altronde lo scrittore Arthur C. Clarke, autore del romanzo 2001: Odissea nello spazio e co-sceneggiatore del film omonimo, sosteneva che “qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia.”

Di fatto la maggioranza degli utenti, che di Internet fa un uso limitato alla socializzazione, all’intrattenimento e allo svolgimento di compiti semplici, conosce ben poco del suo funzionamento. Ma l’ignoranza verso aspetti tanto pervasivi della nostra civiltà non è mai auspicabile. Come emergerà anche dai prossimi articoli in questa serie, ben lungi dall’essere affari da nerd, queste tecnologie potrebbero segnare una svolta storica per il futuro della società, così come l’avvento dei social network ha determinato a suo tempo una rivoluzione sulle cui conseguenze ci interroghiamo ancora oggi. 

Nella primavera del 2021 la serie di arte digitale delle “Bored Apes” ha aperto una nuova prospettiva sul rapporto tra beni di lusso e status. Questo binomio, vero e proprio pilastro del capitalismo consumistico, ha spinto per secoli schiere di ricchi annoiati a spendere somme imbarazzanti per acquisti al limite del ridicolo. Il nuovo mercato del lusso digitale non fa eccezione: la nuova frontiera del prestigio è possedere il ritratto digitale di una scimmia annoiata, non tanto per ragioni di effettivo pregio artistico ma piuttosto perché questi bizzarri ritratti sono legati alla formula arcana degli NFT.

I non-fungible tokens, come suggerisce il nome una volta sbrogliato l’acronimo, sono token non sostituibili. Ogni token, come se fosse una sorta di gettone virtuale, rappresenta un oggetto digitale specifico, ad esempio un’immagine o un file audio. Gli NFT, in sostanza, permettono di assegnare un codice unico e irripetibile ad un qualsiasi manufatto digitale. Con questo escamotage, manufatti che sarebbero altrimenti riproducibili all’infinito, poiché normalmente ogni file scaricato dal web è una copia esatta dell’originale, divengono pezzi unici o a tiratura limitata. Ciò, oltre a dare la possibilità di tutelare il diritto d’autore, protegge l’arte digitale dal deprezzamento: poiché la scimmia annoiata che si sta acquistando è parte di una serie di pochi pezzi, vale la pena di comprarla anche a somme considerevoli. Per questo, in aggiunta all’elemento di novità degli NFT, i primi acquirenti delle Bored Apes hanno visto il loro valore aumentare a dismisura, rivendendole anche per milioni di dollari.

Il concetto di non riproducibilità accomuna gli NFT ad un’altra innovazione che fu introdotta nel 2009 con la promessa di rivoluzionare l’economia mondiale: la criptovaluta. Alla base di entrambe le invenzioni vi è infatti la magia tecnologica della blockchain, un meccanismo che salva i dati legati ad una transazione online in blocchi. Questi blocchi vengono poi collegati gli uni agli altri formando una catena che non può essere alterata, dunque impossibile da hackerare. Inoltre, la catena di transazioni non è protetta da un sistema gerarchico client/server, ma da un sistema decentralizzato peer-to-peer. L’utente non deve perciò affidarsi ad un server esterno per accedere alle informazioni, come ad esempio è consuetudine per i social network, ma è parte integrante della rete che ospita il database.

Sulla portata rivoluzionaria della blockchain dovrebbe fondarsi il passaggio dal Web 2.0, l’assetto attuale di Internet, al Web3. Negli ultimi anni le piattaforme digitali che dominano il web, gestite da una manciata di colossi aziendali multinazionali, hanno destato preoccupazioni per il loro modello di business fondato sulla raccolta e vendita dei dati degli utenti a terze parti. Il Web3 si propone ad oggi come un modello alternativo, decentralizzato e non gerarchico, di attività online, adatto ad ospitare un metaverso, ossia uno spazio digitale basato sulla realtà virtuale, nel quale le attività degli utenti siano protette dalla blockchain. Un’organizzazione simile, ma molto più sofisticata, rispetto a quella del Web 1.0, lo spazio digitale degli albori, dove il proliferare di blog personali e di forum di discussione tra utenti ispirarono a suo tempo nuove forme di vita sociale e politica. 

Tuttavia, il Web3 potrebbe addirittura andare oltre, applicando le enormi potenzialità della blockchain in ambito politico. Infatti, nonostante le grandi compagnie tecnologiche stiano facendo di tutto per cooptare la tecnologia blockchain a scopi commerciali, essa potrebbe celare la soluzione a problemi che affliggono le nostre democrazie. Sviluppando dei protocolli adatti, la blockchain potrebbe ad esempio sostenere un sistema elettorale digitale più accessibile e sicuro di quello attuale, benché al momento non manchino difficoltà di implementazione, non da ultimo quelle legate all’immane consumo energetico. Tuttavia, come nota il professor William Magnuson nel suo libro Blockchain Democracy:

“La sua popolarità testimonia, da una parte, la profonda sfiducia verso l’autorità e il sistema di governo nel mondo odierno e, dall’altra, la fervente e immortale convinzione che la tecnologia e il cyberspazio possano offrire una soluzione. … [La blockchain] ha catturato l’immaginazione di individui in tutto il globo e ha ispirato le persone a mettere in discussione come funzionano, e non funzionano, gli elementi fondanti della società.”

L’avvento del Web3 non è per nulla affare da nerd. Comprendere la magia che sembra animare le nuove tecnologie significa padroneggiarle. Prendendo parte al dibattito come utenti e cittadini, abbiamo la possibilità di ridare al web un ruolo politico, strappandolo al controllo centralizzato di colossi finanziari e regimi totalitari e rendendolo uno spazio più democratico, vantaggioso e sostenibile da abitare. La corsa al Web3 è iniziata.

Francesca Di Fazio

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