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L’insegnamento della lingua italiana: uno strumento utile a favorire la democrazia

Recentemente ho insegnato italiano a stranieri. L’esperienza è stata bellissima. La classe a cui insegnavo era tutta popolata da persone di età e nazionalità differenti. Ognuno possedeva una diversa prospettiva sul mondo, un diverso modo di comportarsi, una diversa storia da raccontare.

All’inizio e alla fine di ogni lezione, era un piacere sedersi in mezzo agli studenti e fare domande e veder nascere una discussione ed osservare come l’amore per una lingua stimolasse persone tanto diverse al dialogo, alla confidenza, al riso. Chi parlava del suo lavoro, chi dei suoi sogni, chi delle sue notti, chi dei suoi amori: la timidezza, quasi fosse legata alla lingua materna, svaniva nella cadenza musicale dell’italiano.

E a poco a poco, parlando, quegli studenti prendevano possesso della lingua e di tutto ciò che la lingua rappresenta e significa, ovvero un particolare modo di osservare, percepire e comprendere le cose che ci circondano. In breve: la cultura. Una tale esperienza, oltre ad avermi arricchito, mi ha anche stimolato a riflessioni più ampie sul tema dell’insegnamento dell’italiano. 

Nel mio caso particolare ho insegnato a persone che certamente non avevano difficoltà economiche e che spontaneamente erano venute in Italia, a Firenze, per imparare l’italiano. Alcuni per puro piacere, altri per avere una carta in più da giocare nella propria carriera lavorativa.

L’italiano, infatti, al contrario di altre lingue, come l’inglese, non è utilizzato all’estero, e quindi non è di utilità pratica immediata. La sua popolarità deriva in larga parte dal fascino che il made in italy esercita sul mondo. Vi è tuttavia, e vi sarà sempre di più, un’altra tipologia di studenti. Questi non hanno mezzi economici, non soggiornano in Italia per piacere, e non possiedono strumenti culturali. 

Sto parlando di coloro che a causa della fame e della guerra fuggono dalla propria terra di origine e raggiungono, per terra e per mare, i confini del nostro paese, sognando una vita migliore; quella vita che noi chiamiamo normale: una casa, un lavoro, un luogo di pace dove crescere i propri figli. 

Tale fenomeno migratorio è destinato a crescere. Il clima di tensione e instabilità geopolitica, aggravato dalla guerra in Ucraina, costringerà milioni di persone a spostarsi verso l’Europa dall’Africa e dal Medioriente. 

A ciò dobbiamo anche aggiungere il dato demografico. L’Africa ha oggi 1,4 miliardi di abitanti, del quale il 60% ha meno di 24 anni. Il numero è destinato a crescere. Nel 2050 gli Africani si stima saranno 2,5 miliardi ed alla fine del secolo 4,3 miliardi. Stime contrarie per l’Europa. In particolare l’Italia, perderà 12 milioni di persone nel 2070 (da 59,4 milioni a 47). 

I numeri parlano chiaro: l’apertura al fenomeno migratorio non è una scelta, ma un destino. Fantasia, quindi, chiudere i porti, fantasia sbarrare le frontiere.

In concreto, i nostri governi dovrebbero invece preoccuparsi di come accogliere le persone che approderanno nel nostro paese. Bisognerà quindi evitare che i migranti finiscano tra le mani del crimine organizzato e soprattutto comprendere in che modo essi possano rappresentare una risorsa per il nostro paese. 

L’insegnamento della lingua italiana si rivelerà a tal proposito fondamentale. Dotare queste persone degli strumenti linguistici essenziali rappresenterà il primo e più importante passo in vista del loro inserimento all’interno del tessuto sociale italiano, aiuterà a non abbandonarli ai margini della società.

Infatti, chi conosce la lingua del Paese in cui vive può essere più facilmente immesso nel mondo del lavoro e dare così da subito il proprio contributo alla società. Chi conosce la lingua può partecipare al processo democratico nazionale, il quale si fonda proprio sul dialogo fra le parti che lo compongono. Chi conosce la lingua è maggiormente difeso dalla piaga dello sfruttamento, poiché è capace di denunciare la propria condizione. 

Per favorire tutto ciò, per giocare d’anticipo, sarà quindi molto importante che in futuro l’Italia investa maggiormente sull’insegnamento dell’italiano agli stranieri, i quali potrebbero essere la fortuna del nostro paese e non la sua disgrazia, come alcuni esponenti politici vorrebbero farci credere. 

Gian Lorenzo Dini

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