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Cittadinanza e integrazione

Nel trentennale della legge 91/1992 sulla cittadinanza, in Italia ha cominciato a prendere forma una proposta di legge che ne permetta modalità di accesso diverse e più rapide ai bambini che stanno frequentando un percorso scolastico. Il testo della nuova legge sarebbe composto da tre articoli e stabilirebbe che un bambino nato in Italia, o arrivato prima di avere compiuto 12 anni, possa fare richiesta di cittadinanza dopo aver frequentato con continuità la scuola per almeno 5 anni. 

Politica e opinione pubblica hanno cominciato a riconsiderare l’importanza dei cittadini stranieri, anche in virtù del loro crescente ruolo all’interno delle nostre comunità. 

Ma al momento come ottiene la cittadinanza un ragazzo arrivato in Italia in età scolastica? Per chi è straniero e cittadino di un Paese non-europeo, la legge prevede che vi sia la possibilità di ottenere la concessione della cittadinanza se si risiede in Italia da almeno dieci anni. 

Le prime famiglie di migranti si sono ormai stabilite nel nostro Paese da più di quarant’anni e i loro figli e nipoti stanno contribuendo attivamente allo sviluppo del nostro Paese: non giocano un ruolo fondamentale soltanto in campo demografico, ma anche lavorativo, pagando tasse e contributi al pari dei cittadini italiani. 

La cittadinanza è fondamentale per vedersi riconosciuti diritti come quello al voto, la registrazione di una residenza o per avere la possibilità di spostarsi all’interno dell’Europa con più facilità. Ho intervistato tre ragazzi di origini extracomunitarie, per comprendere anche alcuni aspetti di natura più culturale. Le loro storie provano a rispondere a due interrogativi: quanto è importante per un ragazzo straniero che vuole sentirsi italiano ricevere la cittadinanza? E quanto influisce la sua acquisizione sull’integrazione all’interno di una comunità?

Maxim Drozd ha 30 anni ed è nato in Russia, dove ha vissuto fino all’età di 15 anni, quando si è trasferito con la madre e il fratello in Italia. Ha frequentato l’Istituto Tecnico Tecnologico Marconi a Rovereto e ora lavora nell’ambito della logistica alla Sandvik di Rovereto, dove si occupa di recensioni e spedizione. Ha dovuto chiedere la cittadinanza due volte, perché la prima volta non è riuscito ad ottenerla entro la maggiore età. Al compimento dei 18 anni l’iter burocratico cambia. Nel suo caso questo ha comportato l’annullamento della pratica iniziale, per cui Maxim ha dovuto procedere con una seconda richiesta.

A Maxim ricevere la cittadinanza darebbe sollievo, sta aspettando questo momento da molto tempo e comincia a pesargli la necessità di dover mostrare sempre documenti aggiuntivi quando si sposta all’interno della Comunità Europea.

Alla mia domanda se crede che ricevere la cittadinanza influisca sull’integrazione in una comunità risponde: 

“In un certo senso credo che la cittadinanza influisca sull’integrazione in una qualsivoglia comunità perché ti dà tutti i diritti e doveri che i cittadini italiani hanno, e quindi vieni visto con più rispetto.”

K.B.M. ha 30 anni e viene dall’Algeria, è arrivato in Italia quando ne aveva 16. Dopo aver frequentato la scuola professionale in Italia si è diplomato come tecnico di automazione industriale ed è stato subito assunto da un’azienda metalmeccanica a Rovereto, dove lavora ancora. Al momento è in ufficio tecnico e si occupa di progettazione e creazione di programmi e processi di lavoro.

Quando gli ho chiesto se si trovi bene in Trentino e che cosa abbia facilitato il suo inserimento risponde: “Qua mi trovo bene e mi sono integrato nella comunità grazie alla scuola e allo sport, due elementi fondamentali per l’integrazione.” E tuttavia aggiunge che la cittadinanza che sta aspettando gioca un ruolo fondamentale nella possibilità di sentirsi integrato, italiano ed europeo a tutti gli effetti. 

“Per me è importante essere riconosciuto dallo stato italiano come cittadino, così da avere tutti diritti che da immigrato in regola non posso avere: il diritto di essere un cittadino europeo, la comodità di viaggiare liberamente, la possibilità di votare, ma anche il diritto alla residenza.

Da immigrato in regola hai comunque gli stessi doveri dei cittadini in regola, paghi le tasse e contribuisci allo sviluppo della comunità e ne rispetti le regole, perché non dovrei avere anche gli stessi diritti, per sentirmi più protetto dallo stato italiano? Secondo me, la cittadinanza influisce molto per l’immigrato e lo fa sentire di far parte della comunità.”

Anouar Ferchichi la cittadinanza invece l’ha ricevuta nel 2017. Ha 28 anni ed è originario della Tunisia. Vive in Italia dal 2002, ha abitato un paio di anni a Ronzo Chienis e si è poi trasferito a Rovereto. Per lui la cittadinanza rappresentava molto e si è occupato di compilare le domande per sé, per sua mamma e sua sorella. Ricorda con piacere il momento in cui ha ricevuto la cittadinanza italiana: “Ho fatto il giuramento in comune, passaggio finale per ricevere la cittadinanza, a giugno 2017. É stato emozionante perché da quel momento in poi avrei avuto gli stessi diritti e doveri di tutte le altre persone italiane che conoscevo. Ad esempio il diritto di voto. Ricordo che la prima volta che l’ho potuto esercitare è stata a marzo 2018 per le elezioni politiche. Partecipare per la prima volta alla vita politica e poter dire la mia su come si gestiscono le cose nel Paese in cui vivo è stato molto importante per me.”

Secondo Anouar la cittadinanza non è l’unico fattore a influire sul grado di integrazione in una comunità, anche il tempo ha il suo peso. 

“Dopo più di 10 anni in Italia mi sentivo già integrato. Allo stesso modo, ci si può non sentire integrati anche dopo che si è ricevuta la cittadinanza, perché le persone ti considerano sempre straniero. La cittadinanza aiuta sicuramente a integrarsi per via dei diritti che porta con sé, ma ci sono altri aspetti importanti per il processo di integrazione come il senso di appartenenza alla comunità e al territorio, che possono essere scollegati dalla cittadinanza.”

Anouar spende un momento per aggiungere anche un paio di considerazioni legate all’identità culturale, dice che c’è chi è diventato italiano, ma non intende integrarsi e che c’è chi non è ancora diventato italiano, come molti bambini nati e cresciuti in Italia da genitori stranieri, che si sono integrati perfettamente. Per lui questo dimostra che si possono avere più identità culturali. Lui a tal proposito si sente tanto tunisino quanto italiano.

Tutti e tre sentono di appartenere alla comunità trentina e si definiscono italiani, sia che la cittadinanza la stiano ancora aspettando, sia che l’abbiano già ricevuta. Per tutti lo scoglio iniziale più grande è stata la lingua, ma la giovane età secondo loro permette di apprendere in fretta, frequentando amici, attività sportive e culturali. Per loro, l’integrazione non è una questione legata al genere e credono che la comunità trentina sia aperta alle diversità e che sia ricca di iniziative che possono aiutare un giovane immigrato a integrarsi. 

Se culturalmente la cittadinanza non sembrerebbe determinante per l’integrazione, questo documento rimane in ogni caso l’unico strumento che garantisca il riconoscimento a ogni persona che vive in Italia dei propri diritti e non soltanto dei doveri che si si è chiamati a rispettare anche se non cittadini. Non va banalizzata e concessa a chiunque, ma è probabilmente arrivato il momento per una riforma che ripensi le modalità con cui una persona possa riceverla.

Giovanni Beber

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