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Paure, egoismo e sessanta metri quadri

Questa settimana mi sono imbattuta in una citazione di John Steinbeck che mi ha particolarmente colpita: 

“Sono sicuro che le cose oscure che si affollavano nella mia mente non esistevano o non erano pericolose, eppure avevo paura.

Si tratta di una proposizione che potrebbe sicuramente introdurre, in maniera molto generica, una pluralità di argomenti. Subito, però, penso a questo difficile periodo, caratterizzato dall’emergenza sanitaria. E non mi riferisco tanto alla paura che il virus ha suscitato in ciascuno di noi con i suoi pericolosi effetti. Le mie prime riflessioni cadono su tutta una serie di atteggiamenti che si sono palesati in Italia e non solo, scaturiti da un odio inspiegabilmente forte e feroce. Basti pensare a quante volte si siano manifestati episodi di razzismo nei confronti di soggetti e intere comunità asiatiche presenti sul nostro territorio, a quanto si siano intensificate violenze, fisiche e verbali, verso immigrati perché ritenuti “portatori del virus” o al semplice atteggiamento di sospetto, diffidenza e appunto, paura, verso chiunque cammini sul nostro stesso lato del marciapiede. 

Sin dall’antichità2, illustri pensatori hanno fatto riferimento alle forti tensioni che inevitabilmente minacciano l’istinto conservativo di ognuno di noi e al timore che tante volte spinge l’uomo a dare ascolto solo ed esclusivamente al proprio egoismo. Ecco, forse sono proprio  le paure ad alimentare la nostra indole egoista e a portare ciascun essere umano a chiudersi in una bolla, a non voler accettare, e quindi ad additare, l’altro, il diverso. 

E non so perché ma, quando penso ad una società in cui l’egoismo e l’individualismo prevalgono, nella mia mente prende forma un’immagine. Avete presente quegli enormi palazzi a quattro o cinque piani che tanto caratterizzano le grandi città dell’ex Unione sovietica? Quelli alti, brutti, grigi e tendenzialmente sporchi, con un’ampia tromba delle scale in cemento, che nella maggior parte dei casi puzza di fumo e urina? Questo tipo di edificio si chiama Chruščëvka (letteralmente baraccopoli di Chruščëv, trattandosi di progetti abitativi realizzati sotto la presidenza di quest’ultimo). 

Varcato il pesante portone d’ingresso, salendo, si notano le tante porte, numerate d’ottone, oltre le quali si celano piccoli appartamentini che costituiscono veri e propri mondi: quello della babushka (Ба́бушка: In russo, “nonna”) che ancora ha appesi alle pareti antichi tappeti intessuti a mano, quello degli studenti, arredato tutto Ikea, o l’abitato della coppia hypster vegana con tre gatti. Lì ognuno pensa ai suoi sessanta metri quadri, senza curarsi dei vetri rotti che ogni domenica mattina sbrilluccicano sul pianerottolo d’ingresso o della grande quantità di mozziconi all’interno dell’ascensore. 

Mentre immagino a quante altre etichette potrei attribuire ai tanti possibili inquilini della Chruščëvka, inizio a chiedermi se questo ragionamento sia davvero universale. Insomma, sono solo il terrore e, di conseguenza, l’indole egoista dell’uomo a dettare le regole della nostra società? Guardando alla mia piccola realtà, questa ipotesi pare inverosimile.

Per quale motivo le persone si aggregano, si associano o creano reti di mutuo aiuto? Come mai vengono istituiti appositi organi che, a livello comunale, provinciale o regionale si occupano di porre in essere sinergie tra individui e Istituzioni? 

Penso a tutti quei Comuni, in particolare a quelli trentini che personalmente ho potuto osservare da vicino, che hanno superato il più duro periodo pandemico anche, e soprattutto grazie, alla solida rete di cittadini che, con gran spirito solidaristico, si sono mobilitati. Dai volontari dei Vigili del Fuoco che hanno consegnato le mascherine in ogni singola abitazione, alle Associazioni di promozione sociale che hanno garantito il servizio di spesa porta a porta a chi si trovasse in quarantena o costretto all’isolamento, agli Alpini che hanno mantenuto ordinate le lunghe file di persone davanti ai supermercati, fino alle associazioni giovanili che si sono reinventate organizzando piccoli momenti di condivisione su social e via radio. 

Analizzando ciò che di fatto ci ha riguardati da vicino, la teoria, secondo la quale la paura spinge solo ed esclusivamente ad incrementare il nostro egoismo, non regge.

Thomas Hobbes asseriva che l’interesse e la paura fossero i principi della società, intendendo che proprio il timore della presunta natura egoista umana spingesse ciascuno di noi ad aggregarsi, a darsi regole e a stipulare un contratto per vivere in uno stato di pace. 

Alla luce di queste considerazioni, si potrebbe affermare che l’essere umano non nasce solo egoista. Semplicemente viene al mondo inconsapevole e non ancora capace di comprendere a pieno che il suo stesso benessere personale dipende dal rapporto con gli altri. 

L’ignoranza ci rende egoisti, vulnerabili e spaventati. Come un paraocchi che ci consente di vedere solo un’onda alla volta, senza permetterci di osservare l’immensità, la grandezza e, sì, la spaventosa bellezza del mare, che di onde ne contiene infinite. 

Questi timori, che in un primo momento ci rendono ottimi costruttori di muri, se veicolati e accolti intelligentemente, aprono gli occhi e fanno capire che soltanto collaborando si potrà raggiungere una pacifica convivenza e costruire, tassello dopo tassello, un ambiente caratterizzato dal benessere sociale.

Solo consapevoli che non esista un’unica cresta da cavalcare e consci che ad ogni problema non si debba per forza andare a ricercare un colpevole, ma che sia invece necessario guardare alle possibili soluzioni, allora, a quel punto, avremo imparato finalmente a far buon uso delle nostre paure. 

Paure che ci porteranno ad uscire dai nostri sessanta metri quadri e che ci spingeranno a cambiare un pezzettino di mondo alla volta.

Assia Zoller

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