Economia e Politica Esteri

La goccia di rum che fa traboccare il vaso

Se lunedì 3 gennaio aveste visitato la pagina Facebook ufficiale del National Development Country taiwanese, vi sareste imbattuti in un post che illustra una serie di ricette a base di rum e, forse con fare sorpreso, avreste imparato come si prepara un ottimo french toast bagnato con l’ambrato liquore, una succulenta bistecca laccata o un eccellente dessert al cioccolato con qualche goccia della preziosa bevanda alcolica. E no, non ci troviamo di fronte ad un hackeraggio o ad una conversione culinaria della pagina: la questione è decisamente più seria. La compagnia statale di alcol e tabacchi taiwanese ha infatti acquistato più di 20 mila bottiglie di rum, provenienti dalla Lituania, che in un primo momento sarebbero state destinate al mercato cinese continentale. Ora, per comprendere meglio questa apparentemente buffa vicenda, dobbiamo fare un passetto indietro. Da qualche tempo una controversia coinvolge la Cina, l’Ilha Formosa (Taiwan), la Lituania e, di conseguenza, l’intera Unione europea. Il casus belli può essere identificato con le dichiarazioni rese da Vilnius durante la scorsa estate con le quali annunciava l’intenzione di aprire nella capitale un ufficio di rappresentanza, istituito poi a novembre, intitolato a Taiwan, dicitura non tollerata dalla Repubblica Popolare Cinese. Contestualmente lo Stato baltico dichiara di voler fondare un suo ufficio a Taipei al fine instaurare nuovi rapporti di natura commerciale nell’area asiatica. La Lituania diviene così il primo paese europeo che, pur mantenendo relazioni diplomatiche con la Cina, ospita un’ambasciata de facto dell’isola. Dopo tali esternazioni, la Cina decide di richiamare il proprio ambasciatore in Lituania, costringendo l’ambasciatrice baltica a lasciare Pechino e, a partire da dicembre, iniziano le prime ritorsioni consistenti in limitazioni alle importazioni ed esportazioni.

Seguono una serie di eventi e interventi un po’ confusi: l’Unione tentenna e non prende subito una posizione, segue un botta e risposta contrastante tra il Presidente lituano, Gitanas Nauseda, che definisce “un errore” la scelta del nome, e il Ministro degli esteri che spiega come la decisione invece fosse stata presa in maniera coordinata con la presidenza della Repubblica. Arriva anche uno spassionato consiglio direttamente da Pechino che invita l’Ue a non sbilanciarsi su una controversia che è da considerare solo bilaterale, tra Cina e Lituania. Taiwan intanto non rimane in silenzio e, oltre ad acquistare ingenti quantità di rum, promette al partner europeo investimenti per 200 milioni di dollari.

Passano alcuni giorni e l’UE, finalmente, si schiera al fianco della Lituania e, come dichiarato dal commissario europeo per il Commercio Valdis Dombrovskis, si mostra decisa a contrastare le misure che, violando le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, minacciano l’integrità del mercato unico. Così il 27 gennaio la Commissione europea intraprende la via del ricorso davanti all’OMC contro il Governo cinese, ritenuto l’unico soggetto a cui attribuire la responsabilità delle azioni illegali.

Aldilà di come andrà a finire la complessa faccenda che, alla stregua di tutte le vicissitudini portate all’orecchio dell’OMC, probabilmente impiegherà anni per essere risolta, è interessante notare come le storie dei due stati protagonisti siano entrambe caratterizzate da governi non riconosciuti, occupazioni, tempi di rivolta e lotta per l’indipendenza.

Da un lato abbiamo la Lituania che, dopo anni di occupazione da parte dell’Impero tedesco, conoscerà un primo e breve momento di indipendenza nel febbraio del 1918 per poi essere invasa e controllata alternativamente dalle principali potenze dell’epoca.

A meno di un anno dalla stipulazione del Trattato di Brest-Litovsk l’Armata Rossa passava i confini lituani, dal 1919 il territorio diventava  teatro di battaglia a causa della guerra sovietico-polacca e nel ‘20 parte della regione era controllata dalla Polonia. E ancora, dopo un altro periodo di indipendenza, caratterizzato da governi sia democratici che autoritari, nel 1940 il territorio baltico verrà invaso dall’esercito sovietico e successivamente, come accadde in Estonia e Lettonia, dalla Germania nazista: se all’inizio i tedeschi vennero accolti come dei veri e propri liberatori, ci volle poco per capire che un altro oppressore stava governando il paese. Forte fu la resistenza dei partigiani indipendentisti, filo-sovietici ed ebrei che durò fino alla nuova occupazione russa del ‘44. Respinti i nazisti, il regime sovietico portò con sé violenze, repressioni e deportazioni di massa: si conta che almeno 130 mila intellettuali, dissidenti e potenziali oppositori vennero inviati in campi di lavoro e in remoti insediamenti siberiani o dell’Asia centrale.

Dall’altra parte dell’Oceano invece, terminata la Seconda Guerra Mondiale, Taiwan torna sotto la sovranità cinese dopo mezzo secolo di dominio nipponico. Dal ‘49, dopo la sconfitta del Kuomintang – Partito Nazionalista Cinese (KMT) – da parte del Partito comunista di Mao, l’isola diventerà territorio di rifugio per i nazionalisti: da questo momento inizieranno ad esistere due stati sovrani che reclamano di rappresentare la Cina.

Durante gli anni Sessanta la necessità di migliorare i rapporti con Pechino e di contrastare l’Urss da parte degli Stati Uniti porterà, nel 1971, al riconoscimento da parte dell’Assemblea delle Nazioni Unite della Cina Comunista quale unico governo legittimo. Taiwan perderà il proprio seggio di rappresentante e progressivamente altri stati cesseranno di riconoscere il governo nazionalista. La storia dell’isola inizia ad essere più tormentata, caratterizzata dalla costante divisione interna tra chi vorrebbe una riunificazione con la Cina continentale e chi un’indipendenza assoluta.

Nel frattempo la Repubblica socialista lituana vive un periodo di crescita urbana e di integrazione nel sistema economico e industriale sovietico. A partire dalla metà degli anni ‘80, grazie alla politica del neoeletto Gorbačëv, si giungerà ad un’apertura e, quindi, ad una diffusione di movimenti nazionalisti e anti-comunisti in tutta l’Urss. Nell’89 il Partito Comunista, che fino ad allora aveva controllato e diretto il paese, si scinde dando vita al Partito Democratico lituano e l’11 marzo 1990, il Soviet Supremo dichiarerà l’indipendenza del paese. Mosca tenterà di ricondurre la Repubblica all’ordine, prima privandola di sostentamento economico e poi militarmente, inviando carri armati diretti alla Seimas (il parlamento nazionale lituano) e alla torre televisiva. Ma una folla di più di 50 mila persone scenderà in piazza per bloccare i mezzi militari: 14 moriranno schiacciate dai cingoli e più di 700 rimarranno ferite. Ancora oggi, chiunque a Vilnius ricorda o racconta con orgoglio la coraggiosa ribellione a seguito della quale i soldati dell’Armata rossa rinunciarono all’attacco ritirandosi. Poco tempo dopo cominceranno ad arrivare i primi riconoscimenti internazionali della prima Repubblica indipendente.

Nel frattempo, a 8 mila chilometri di distanza, l’amministrazione taiwanese allenterà i controlli politici nei confronti degli oppositori dei nazionalisti, verrà fondato il Partito Democratico Progressista e nell’87 si aboliranno le leggi marziali. Intanto Pechino continuerà a tenere sotto controllo l’isola e, in uno storico incontro svoltosi a Hong Kong, verrà stipulato con Taipei il “Consenso del 1992”, accordo mai riconosciuto dagli esponenti indipendentisti, che sancisce il principio dell’unica Cina, secondo il quale Taiwan è parte integrante del territorio nazionale.  Ma la deriva democratica e i nuovi rapporti intrapresi con gli Stati Uniti origineranno nel Governo continentale forti malumori che culmineranno con intense esercitazioni militari in direzione della costa insulare, spingendo gli Usa ad attivarsi militarmente per monitorare la situazione.

Nel 2000 verrà eletto presidente, dopo 55 anni di governo nazionalista, il democratico Chen Shui-bian che sarà poi sostituito nel 2008 dall’esponente del KMT Ma Ying-jeou. Questi proporrà una politica filo-pechinese e a Taipei si tornerà a respirare un’aria di repressione.

Dal 2016 però l’esecutivo è guidato dall’indipendentista Tsai Ing-wen, rieletta con un’ampia maggioranza nel 2020, donna che ha sempre rifiutato di riconoscere l’idea di una sola Cina e che adotterà misure volte a rendere l’isola sempre meno sinocentrica.

Riferendoci a Taiwan parliamo di una resistenza certamente diversa da quella che ha caratterizzato il paese Baltico durante il XX secolo ma non meno sentita, giocata prevalentemente sul piano economico e diplomatico. Ricordiamo che, da un lato, l’isola bella è una delle quattro Tigri asiatiche e mostra una situazione finanziaria complessiva costantemente in crescita. Dall’altro, essa può contare sul sostegno da parte di alcuni stati tra cui gli Usa che, nonostante non la riconoscano ufficialmente, hanno da sempre forti interessi a che si mantenga una situazione stabile e sicura nel Pacifico Occidentale tanto da dichiararsi pronti ad appoggiare militarmente la popolazione di fronte ad un eventuale attacco cinese.

Nell’attesa che siano il tempo, le relazioni diplomatiche e le posizioni istituzionali a decidere se qualcosa cambierà nella storia della Formosa, pare che la Lituania abbia deciso di lanciare un messaggio di speranza e di brindare, insieme a Taipei, alzando al cielo un bel bicchiere di rum.

Assia Zoller

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