Economia e Politica Esteri

Speranzosa e poco realistica proposta per la dignità del Belpaese

Il conflitto tra i membri settentrionali e meridionali della Unione Europea va acuendosi sempre di più, soprattutto in occasioni come quella che stiamo vivendo.

Ne è chiaro sintomo la recente copertina di un giornale olandese, che invita i lavoratori nordici a non aiutare gli sfaccendati, abbronzati e baffuti meridionali europei che bevono vino.

Oggi, come durante la crisi del 2008, appare evidente la frammentarietà europea. Il mediatore prescelto è la Francia, geograficamente tra sud e nord, culturalmente vicino all’Italia e spesso politicamente affine alla Germania.

Proprio grazie a Parigi, il Recovery Fund sembrava iniziasse a prendere la forma consistente di 500 miliardi. L’Unione ha poi rilanciato: 750 miliardi di euro, 500 a fondo perduto e 250 da erogarsi come prestiti. L’Italia sarebbe primo beneficiario con 90 miliardi di prestiti e 82 di sussidi.

Guai però a farsi eccitare dalle grandi cifre. Questi denari sulla via per le casse italiane incontrano due maggiori ostacoli.

Primo, i contributi saranno erogati a patto che gli stati beneficiari si impegnino ad impiegarli in maniere conformi al gusto della Commissione, vincolandosi dunque a determinati obbiettivi e riforme. Qualora lo stato fallisse nel raggiungimento dei suddetti obbiettivi, perderebbe una rata di aiuti.

Secondo, Austria, Paesi Bassi, Svezia e Danimarca si dimostrano ancora più restii dei colleghi teutonici, i quali accetterebbero di buon grado il Recovery Fund così formulato. I paesi “frugali” i cui politici si vantano spesso velatamente di un qualche virtuosismo economico connaturato nei geni nordici, non vedono di buon occhio un intervento così ambizioso come quello proposto da Bruxelles.

Emerge, come sempre, il contrasto politico. L’irrefrenabile, riscoperto desiderio di appagare il proprio elettorato a qualsiasi costo torna a farsi spazio tra le file europee. Dal conflitto dialettico emergono quindi soluzioni di vecchia data, tra le quali spicca la costruzione di un’Unione a due velocità. 

Ciò di cui voglio raccontare oggi è la mia recente scoperta dell’esistenza di un’informale rete di relazioni tra i paesi cosiddetti del Sud, che sarebbe interessante approfondire qualora fosse necessario o diventasse appetibile la idea di una Europa a due velocità.

L’asse di cui parlo si chiama EuroMed, che ad un occhio inesperto come il mio potrebbe sembrare una qualche associazione europea con finalità di carattere medico. Sorprendentemente, Med sta per Mediterraneo e si tratta di un gruppo informale che riunisce i paesi europei di cultura greca e romana, tutti affacciati, ad esclusione di Lisbona, sul mare nostrum: Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Cipro e Malta. Tra gli obbiettivi più esaltanti di questo gruppo c’è quello di “esprimere la voce singolare dei paesi del sud dell’Europa” un compito che ha effettivamente e parzialmente svolto solamente la Francia negli anni recenti. I grandi assenti al tavolo, secondo chi scrive, sono gli Stati dei Balcani Occidentali. Tra quelli già nell’Unione, mancano Croazia e Slovenia.

Propongo di seguito uno spunto interessante quanto difficilmente realizzabile, da dividersi in due fasi. Sono consapevole di fare cosiddetta fantapolitica, ma scrivo di quello che mi piace pensare, starà poi al lettore giudicare la coerenza di quello che ha letto.

Nella prima fase, sarebbe opportuno rafforzare l’EuroMed e aprirlo a croati e sloveni. Così avremmo finalmente una sola e potente posizione nel dibattito europeo essendo Spagna, Francia e Italia tra le maggiori economie dell’area.

Nella seconda fase, sfruttando questa posizione, avremmo la possibilità di incentivare l’ingresso degli altri paesi dei Balcani Occidentali, con i quali storicamente l’Italia ha buoni rapporti, nella Unione Europea.

Ciò significherebbe approfondire le relazioni con i Balcani Occidentali, i quali sono estremamente convinto meritino dovuta considerazione, sottraendoli alle tentazioni turche e cinesi. L’apertura ai Balcani Occidentali, che non presenterebbe poche difficoltà, non deve però intendersi come una forma di neocolonialismo, ma idealmente come una reciproca cooperazione, della quale gioverebbero tutti in termini di influenza politica e in termini economici.

Immagino, forse a torto, che l’area occidentale dei Balcani presenti un terreno dove eventuali investimenti sarebbero accolti di buon occhio, contribuendo a slanciare la regione. Inoltre, qualora questi Stati entrassero a fare parte della area Schengen, le relazioni commerciali con essi potrebbero infittirsi, arricchendo il Mediterraneo e l’Adriatico.

Provando così a meglio bilanciare i centri di potere potremmo forse riequilibrare un’Unione Europea che a volte sembra troppo sbilanciata verso Nord.

Leonardo Torelli

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