Ecologia Economia e Politica Esteri

Il conflitto russo-ucraino sta aggravando lo stato di salute del sistema alimentare globale

Oltre ad aver provocato una crisi energetica di dimensioni planetarie, l’invasione russa dell’Ucraina ha dato vita a una riduzione della disponibilità globale di grano che rischia di aggravare lo stato di salute del sistema alimentare mondiale.  

Come riportato dal New York Times, una parte considerevole delle risorse globali di grano, mais e orzo è intrappolata in Russia e Ucraina, così come tra Russia e Bielorussia è ferma una quota rilevante di fertilizzanti, con il risultato che i prezzi globali per questi prodotti sono aumentati vertiginosamente. Da fine febbraio i prezzi del grano e dell’orzo sono aumentati del 21% e del 33%, mentre quello dei fertilizzanti del 40%.

Secondo l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, prima della guerra, Russia e Ucraina coprivano il 12% del fabbisogno calorico mondiale e si trovavano ai primi posti tra i maggiori esportatori di grano, frumento, orzo, semi di girasole e potassa, uno dei principali componenti dei fertilizzanti da coltivazione.

Al momento, invece, le risorse della Russia faticano a raggiungere i partner commerciali a causa delle difficoltà nella gestione dei pagamenti dovute all’estromissione dal circuito di pagamenti SWIFT e alle limitazioni provocate dalle sanzioni occidentali. 

Le forniture di grano ucraino, poi, sono bloccate all’interno del Paese per il blocco ai movimenti imposto dalla marina russa nelle acque del Mar Nero e del Mar d’Azov e per la presenza, nei pressi del porto di Odessa, di numerose mine ucraine posizionate per impedire lo sbarco delle forze nemiche.

Ma questo non è l’unico problema causato dal conflitto: l’invasione russa ha rallentato e in certi casi addirittura impedito il lavoro dei contadini ucraini, che quest’anno dovranno fare i conti con una produzione di grano del 35% inferiore rispetto a quella dello scorso. E non è finita qui. A causa della riduzione delle esportazioni di Kiev, gran parte della prossima produzione cerealicola rischia di andare perduta perché la metà del raccolto del 2021 è ancora stoccata nei silos ucraini. 

Inoltre, la diminuzione nella circolazione dei fertilizzanti a livello globale, provocata dalla penuria dei prodotti per realizzarli e dalle sanzioni imposte su Russia e Bielorussia, che insieme rappresentano il 20% delle esportazioni mondiali, influirà sulla produttività dei prossimi raccolti. 

Si calcola quindi che la riduzione dell’offerta globale di cereali dovuta al conflitto, le restrizioni delle esportazioni di fertilizzanti e il vertiginoso aumento dei prezzi di gas e petrolio porteranno

ad una riduzione del 10% nei volumi di esportazioni di cibo su scala globale. Fattori che hanno portato paesi come Ungheria, India e Indonesia a decidere di vietare l’esportazione di grano e altri prodotti alimentari. 

In ogni caso l’invasione russa è solo l’ultima di una serie di questioni che negli ultimi anni hanno contribuito a mettere in crisi il settore alimentare globale. 

Sempre secondo l’ISPI, già prima del conflitto il commercio mondiale di prodotti agro-alimentari stava vivendo una acuta fase di stress dovuta a prezzi record. Tra le cause, una combinazione di crescenti costi energetici legati alle tensioni diplomatiche tra i maggiori produttori mondiali di gas e petrolio e il resto della comunità internazionale; le criticità logistiche e gli ampi sprechi legati al funzionamento delle filiere produttive globalizzate investite dalle chiusure e dai ritardi causati dalle politiche di contrasto al COVID-19; e una serie sempre più ricorrente di eventi climatici estremi verificatisi in Paesi del mondo che ricoprono un ruolo fondamentale nel commercio agro-alimentare, quali lunghi periodi di siccità in Brasile, Argentina ed Africa Orientale uniti a vaste inondazioni in Cina. (Cina, che tra le altre cose, si sta organizzando per acquistare parte delle forniture cerealicole globali per ovviare alla ridotta disponibilità causata dalle recenti inondazioni e per rispondere ai bisogni della sua enorme popolazione.)

Solo per fare un esempio, la scarsità di cibo, combinata con l’aumento dei prezzi e la carenza di benzina, gas e medicinali, ha provocato una crisi politica in Sri Lanka che è culminata con alcuni disordini e le dimissioni del primo ministro Mahinda Rajapaksa. Una sorte condivisa dal primo ministro pakistano Imran Khan, sfiduciato dal Parlamento dopo l’insorgere di un’inflazione a due cifre che ha impedito a parte della popolazione di procurarsi i generi alimentari di base (sebbene non sia stata l’unica motivazione).

Ma proteste violente sono scoppiate anche nella provincia del Khuzestan, in Iran, dopo che il governo ha alzato il prezzo del pane, dell’olio e dei latticini.

Alcuni analisti, inoltre, temono che la crisi alimentare possa avere delle gravi ripercussioni per alcuni paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, dove la carenza di offerta e la continua crescita dei prezzi potrebbe dare vita a delle “rivolte del pane” simili, almeno nelle premesse, a quelle che sconvolsero la regione durante le cosiddette “Primavere arabe”.

Ecco. Questa è la situazione allo stato attuale delle cose, ma che prospettive ci sono per il futuro e che cosa si dovrebbe fare per impedire il peggioramento della situazione? 

Le Nazioni Unite hanno chiesto la riapertura dei porti ucraini del Mar Nero e del Mar d’Azov in modo che possano riprendere le esportazioni di grano, soprattutto verso i paesi africani, maggiori importatori del grano di Kiev e Mosca.

Nelle ultime settimane il Ministro degli esteri lituano, Gabrielius Landsbergis, ha proposto la formazione di una coalizione navale per scortare delle navi cariche di grano ucraino fuori dal porto di Odessa. Questa soluzione richiederebbe lo sminamento delle aree intorno al porto e l’impiego di ulteriori navi da guerra nel Mar Nero. Un fattore che però potrebbe far aumentare il rischio di incidenti con le navi da guerra russe. 

Come riporta il giornalista Simone Pieranni anche la Turchia si è resa disponibile per sbloccare la situazione. Secondo Pieranni Erdogan sarebbe pronto a mettere a disposizione dei genieri turchi per sminare i porti ucraini, mentre delle navi di Ankara dovrebbero accompagnare i cargo pieni di grano in acque neutrali. 

Kiev, però, si è mostrata reticente, temendo che lo sminamento delle acque del Mar Nero possa favorire un contrattacco russo. Se lo sminamento non dovesse andare in porto, un’altra soluzione prevederebbe l’esportazione del grano attraverso dei convogli ferroviari. Quest’ultima eventualità promette però difficoltà grandi e difficilmente superabili.

Come riporta Limes le ferrovie ucraine, un tempo inserite nell’impero zarista, hanno uno scartamento diverso da quello utilizzato nel resto d’Europa. Al confine del paese sarebbe quindi da prevedere un primo trasbordo dei carichi, che richiederebbe un’ampia disponibilità di attrezzature e inciderebbe negativamente sui prezzi. Negli stati confinanti con l’Ucraina, poi, tanto la rete stradale quanto quella ferroviaria avrebbero notevoli problemi ad assorbire un aumento dei traffici della mole auspicabile. Vi sono infine da superare questioni doganali gigantesche, considerato che sono necessari parecchi giorni per poter dare il via libera a un autocarro alle varie frontiere.

Per aggirare queste difficoltà è stata formulata l’ipotesi di avviare grandi lavori infrastrutturali. Ma a parte il fatto che nel tratto ucraino questi lavori non potrebbero iniziare prima della fine della guerra, rimane sempre l’ostacolo dei tempi lunghi che simili opere richiedono. Le prossime settimane saranno determinanti per vedere se la situazione riuscirà a sbloccarsi. 

Nei prossimi mesi sarà fondamentale fornire anche adeguate forme di assistenza umanitaria alle fasce di popolazione più vulnerabili, tenendo però conto del fatto che l’aumento dei prezzi di cibo, carburante e trasporti ha limitato il margine di manovra delle agenzie (già ostacolato dalle ripercussioni della pandemia) e ha aumentato i costi dell’assistenza umanitaria.

Inoltre, come suggerisce l’USIP, l’ United States Institute for Peace, potrebbe rivelarsi utile rafforzare la trasparenza del mercato per ridurre al minimo i rischi di aumenti dei prezzi dovuti alla speculazione. Ma bisognerebbe anche incoraggiare la diversificazione delle importazioni agricole per limitare la dipendenza dai singoli fornitori ed evitare che un qualsiasi calo delle forniture da parte dei principali esportatori non inneschi un disastro per chi dovrebbe importare. 

Per quanto riguarda i provvedimenti di lungo termine, invece, è necessaria una riflessione. È evidente come il nostro mondo sia più interconnesso che mai e che le crisi scoppiate all’estero possano generare delle ripercussioni e dei costi anche all’interno dei nostri confini. L’unica soluzione che abbiamo, quindi, consiste nello sfruttare tutti i  mezzi a nostra disposizione per limitarli ed evitare che possano dare origine a situazioni insostenibili.

In futuro sarà perciò fondamentale operare delle scelte che ci permettano di contrastare tutti quei fattori che mettono a rischio la sostenibilità del sistema alimentare globale: dal cambiamento climatico, agli allevamenti intensivi, dalle monoculture che minacciano la biodiversità, alle catene di approvvigionamento. Cambiamenti strutturali che devono passare dalla politica ma che possiamo contribuire a plasmare attraverso le nostre scelte e la nostra voce.  

Marzio Fait

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