Cultura e Società Sociologia

Della campagna e della città o del mondo d’oggi

Scrive Oswald Spengler ne Il tramonto dell’Occidente (2015) : 

« la scaltrezza contadinesca e da abitante di piccole città e l’intellettualismo delle metropoli sono due forme dell’essere desto intelligente fra le quali una comprensione è quasi impossibile”. 

Tale riflessione, letta e meditata riguardo il tempo presente, appare rivelatoria di una certa tendenza che accomuna fenomeni politici, militari e culturali del mondo contemporaneo. 

Inizierò con una provocazione. Tutti ricorderete certamente le polemiche a seguito della performance di Achille Lauro sul palco dell’Ariston: il cantante, esibendosi, inscenò la sua crocifissione. La rete si divise. Da una parte i sostenitori dell’artista, felici ch’egli avesse sferrato un colpo contro il consueto bigottismo sanremese; dall’altra i denigratori, indignati di fronte ad uno sì blasfemo spettacolo. 

Aldilà della sterile polemica, questo episodio evidenzia qualcosa di cruciale: l’esistenza, nella nostra società, di due realtà  distinte e fra loro inconciliabili. 

L’una della provincia, della tradizione e radicata alla propria terra; l’altra della grande città, avversa ad ogni dogma, totalmente estranea al concetto di appartenenza. Tale spaccatura nettissima non è solo italiana. Anzi.

Eloquente, sotto questo aspetto, è la polarizzazione della politica occidentale, che oppone l’elettorato delle grandi città a quello dei piccoli centri: populisti ed europeisti nel continente europeo; l’elettorato di Trump e i democratici negli USA; sostenitori ed oppositori della Brexit in Inghilterra. 

E non soltanto la politica interna agli stati, ma le differenze che oppongono interi paesi. Si ricordi con quali orrifici termini il patriarca di Mosca abbia benedetto, con toni da crociata, le guerra in Ucraina, sostenendo ch’essa fosse non solo una guerra fra due paesi, ma fra due civiltà, l’occidente corrotto e la Russia santa e benedetta da Dio. 

Fra gli anni 60’ e 70’ le acutissime riflessioni di Pasolini, contenute negli “Scritti Corsari”, denunciavano,  a causa dell’inurbamento selvaggio, il progressivo svanire d’una  vita comunitaria, rurale, autentica, propria della campagna, in favore della spersonalizzata e capitalistica vita cittadina. 

Quel processo apparve allora irreversibile, ed in una certa misura lo fu. Milioni di persone in Italia e nel mondo abbandonarono i campi per la fabbrica, il paese per la periferia. Mutati i luoghi, mutarono le idee. 

A partire dagli anni 60’ le giovani generazioni, in contrasto a dogmi millenari, sognarono una nuova vita, diversa da quella dei loro padri, ed elaborarono, sulla base delle nuove dinamiche sociali cittadine, nuovi modi d’intendere la vita. I fermenti culturali che agitavano New York e Londra, l’America e l’Inghilterra, si propagarono in tutto l’Occidente: la nuova vita, la vita della città, la si ascoltava nei vinili, la si osservava nel modo di portare i capelli, di comportarsi, di vestire. 

Con gli anni 80’, questo modus vivendi, indebolito nella sua carica rivoluzionaria, ammantato d’un superficiale edonismo consumistico, consolidò la sua presa sul mondo occidentale. Si pensò allora, e soprattutto dopo l’avvento di internet, che in ogni angolo della terra prima o poi ognuno avrebbe desiderato vivere alla stessa maniera di un medio abitante di una grande metropoli occidentale. Ci si sbagliò.

L’amore millenario della tradizione, dei riti, della patria resistettero e tutt’ora resistono. La Russia postcomunista si scoprì, a distanza di anni, fervente ortodossa; la Cina blindò internet e si chiuse ad ogni influenza esterna; l’islam, nelle sue varie forme, avvolse con forza, ancora una volta, gran parte del  Medioriente. E pure l’occidente liberale e progressista iniziò a scricchiolare. 

I populismi, sebbene diversi in ogni paese, parvero concordare su di un punto, cioè che i bisogni, i desideri, la morale dei grandi centri urbani di ogni paese fossero inconciliabili con quelli della sua provincia. 

E veniamo all’oggi, al tragico oggi, in cui qualcosa pare essersi spezzato. La realtà della guerra ha aperto una ferita che forse non potrà essere rimarginata: il sangue che cola dai corpi dei ragazzi bagna il tempio della pace europea, le cui fondamenta tremano dai cardini; e il sinistro rumore giunge alle orecchie d’ognuno, raggelante. 

L’equilibro del mondo globalizzato, sfaldandosi, divide due blocchi: il cosmopolitismo liberale della metropoli e il tradizionalismo nazionalista del mondo rurale. Ciò che è peggio è che tali blocchi non dividono soltanto una nazione dall’altra, ma pure le nazioni al loro stesso interno.

L’attacco di Capitol Hill negli States, e, più generale, qualsiasi situazione di scontro, sia esso politico o culturale, in seno ad ogni stato Europeo ed extraeuropeo, possono essere letti secondo questa prospettiva. 

Potrei concludere con un semplice e rassicurante invito al dialogo, a cui tuttavia mi riesce difficile credere. 

Qualche mese fa mi trovai a parlare in università con alcune persone a proposito della situazione politica italiana. Durante la conversazione sentì pronunciare questa frase: “ non riesco a capire come Salvini e la Meloni abbiano così tanti voti: non conosco nessuno che li abbia mai votati”. 

Il tranquillo candore con cui una tale affermazione venne pronunciata mi fece sobbalzare il cuore in petto ed iniziare a riflettere: davvero oggi il dialogo è a tal punto scomparso? Davvero due parti d’Italia, due parti di mondo, non solo non si comprendono ma addirittura sono invisibili l’una per l’altra? Verso quale tipo di realtà ci stiamo dirigendo? 

Lascio questi interrogativi all’intelligenza del lettore, la cui riflessione autonoma è mille volte più proficua di tutte le soluzioni che io potrei fornire. Non è infatti da soli, come individui, che risolveremo questi problemi, ma come società, una reale società democratica, che oggi più che mai deve riscoprire il valore alla base della sua fondazione, la dialettica fra le parti. 

Gian Lorenzo Dini

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