Cultura e Società Medicina

Salute, genere e vulnerabilità: l’importanza di uno sguardo complesso

Anche se spesso cerchiamo semplificazioni, la vita umana è caratterizzata dalla complessità, da un’intersezione di fattori biologici, sociali, culturali ed economici.

La salute si produce dalla commistione di fattori tra loro intrecciati e interdipendenti: secondo l’OMS, le condizioni di salute di una persona sono date da un benessere diffuso non solo a livello fisico, ma anche psichico e sociale. Nonostante sia un diritto umano sancito costituzionalmente in Italia e riconosciuto come fondamentale dal diritto internazionale, in molti casi diventa un privilegio.

Ci sono delle questioni che spesso rimangono invisibili, ma di cui è necessario parlare per contrastare i bias e le discriminazioni di genere, anche sul fronte della salute.

Assenza di dati e salute di genere

Il genere è causa di discriminazioni anche a livello sanitario? Purtroppo sì. Si parla di divario nella salute per le donne o women’s health gap, e secondo il World Economic Forum comprende una persistente carenza di dati, in quanto le donne sono sottodiagnosticate per alcune patologie rispetto agli uomini. “Per millenni la medicina si è basata sul presupposto che i corpi maschili potessero rappresentare l’umanità nel suo complesso. Di conseguenza, abbiamo un’enorme lacuna storica di dati quando si tratta di corpi femminili“, ha sottolineato la giornalista britannica Caroline Criado Perez al giornale Evening Standard.

Si parla di corpi femminili perché questo divario tocca non solo le donne, ma anche le persone AFAB (Assigned Female At Birth), ossia non binarie o transessuali assegnate al genere femminile alla nascita.

Secondo un rapporto del World Economic Forum e del McKinsey Health Institute, donne – e persone AFAB – trascorrono il 25% in più della loro vita in condizioni di salute debilitanti rispetto agli uomini.

Come racconta Criado Perez nel capitolo “Nello studio del medico” del suo saggio “Invisible Women”, sono molte le testimonianze di donne che si sono trovate maggiormente esposte a malattie gravi come il cancro a causa di un ritardo nella diagnosi e nella terapia per patologie curabili. Da secoli gli studi di medicina si sono focalizzati sul corpo maschile per antonomasia, applicando a tutti gli effetti una visione antropocentrica della salute e ignorando condizioni specifiche del corpo femminile.

Il divario di salute delle donne equivale a anni di vita persi per cattiva salute o morte precoce. Colmare questo divario, sottolinea il WEF, consentirebbe ai 3,9 miliardi di donne e persone AFAB nel mondo di avere sette giorni di salute in più all’anno, per una media di 500 giorni nell’arco della vita.

Una stigmatizzazione che tocca tutte: il ciclo mestruale

Oltre all’assenza di dati che comporta bias e discriminazioni, la salute delle donne e delle persone AFAB è caratterizzata anche da tabù, da una scarsa educazione e da un senso di vergogna che spesso si prova di fronte a sintomatologie che non si riescono a nominare.

Secondo gli studiosi Grandey, Gabriel e King, nel contesto della salute legata a un corpo femminile, gli argomenti tabù possono essere riassunti come le “tre M”: mestruazioni, maternità e menopausa.

Nel mondo le mestruazioni sono ancora un argomento più o meno stigmatizzato, ma sono un fenomeno fisiologico che caratterizza metà della popolazione globale. Qui il gap di informazioni e di cultura costituisce un limite ampiamente diffuso se consideriamo che, secondo la World Bank, almeno 500 milioni di donne e ragazze nel mondo non hanno accesso ai beni necessari per gestire le mestruazioni.

L’accesso ai prodotti mestruali, a spazi sicuri e igienici in cui utilizzarli e il diritto di gestire le mestruazioni senza vergogna o stigma sono essenziali per chiunque abbia le mestruazioni. Si parla di period poverty per indicare una mancanza di accesso ai prodotti mestruali, alle strutture igieniche, alla gestione dei rifiuti e all’istruzione, e colpisce molte donne a livello globale causando problemi fisici, mentali ed emotivi. Lo stigma che avvolge le mestruazioni limita le persone a parlarne con difficoltà. 

Si tratta di un fenomeno che tocca in maniera più o meno debilitante persone con mestruazioni di tutto il mondo, dai paesi del Sud Globale ai paesi del Nord Globale. Certamente possiamo dire che discrimina maggiormente le fasce di popolazione più marginalizzate.

Come riporta ActionAid UK, è stato stimato che nel 2021 più di 137.700 ragazze nel Regno Unito hanno saltato la scuola perché non possono permettersi prodotti sanitari. Dall’altro lato, in Paesi come il Kenya e l’Uganda le ragazze sono costrette a perdere molti giorni di scuola quando hanno le mestruazioni, o addirittura ad abbandonare del tutto la scuola. Questo nega alle ragazze il diritto all’istruzione e spesso condiziona il resto della loro vita. 

La mancanza di dati e le ricerche limitate sulla povertà mestruale sono sfide che richiedono maggiore ricerca e un impegno a livello globale.

Colmare il divario e promuovere una salute per tutte le persone

Quali sono, allora, le strade possibili? Sicuramente parlarne, e supportare studi e ricerche che cercano di mettere in luce queste differenze di genere per adottare un’ottica di giustizia, sia in generale per quanto riguarda la salute che nello specifico di giustizia mestruale.

E non solo tra persone della società civile, ma anche nella comunità scientifica, in modo da garantire una formazione del personale medico adeguata a rispondere alle esigenze di salute anche secondo una sfaccettatura di genere.

A tal proposito, l’associazione WeWorld Onlus che si occupa da tempo di diritti delle donne, delle bambine e dei bambini, ha pubblicato un manifesto per la giustizia mestruale. Il lavoro di questo ente mette in luce come le sfaccettature sotto cui intervenire sono molte: dal linguaggio con cui parliamo del ciclo mestruale all’abolizione della tassa su assorbenti e prodotti mestruali (tampon tax), dall’educazione sessuo-affettiva al congedo dal lavoro.

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